Marina Abramovic: affondo in me stessa per diventare universale
Incontro a Firenze con la performer: l'arte oggi è solo merce
Firenze (askanews) - L'artista questa volta era presente. Marina Abramovic è tornata a Palazzo Strozzi a Firenze, dove la sua mostra "The Cleaner" ha già superato i 100mila visitatori. L'occasione è stata la rimessa in scena della sua celebre performance "The House with the Ocean View", con una più giovane artista a interpretarla, ma la Abramovic ha voluto raccontare anche le proprie sensazioni durante i 12 giorni passati in tre ambienti aperti e inaccessibili, senza cibo, senza parlare, senza scrivere.
"Quello che fai - ha spiegato l'artista - è cominciare a guardare te stessa, a verificare il respiro, cominci a fare attenzione a quelle cose che normalmente trascuri, a dei dettagli".
"E quindi quando il performer incrocia lo sguardo con il pubblico - ha aggiunto la Abramovic - quello scambio di sguardi diventa terribilmente importante, perché la fonte di energia è il pubblico stesso".
E in effetti, visitando la mostra fiorentina, si capisce che lo scambio con il pubblico è parte essenziale del lavoro, ma quasi in forma di esperimento: la performer rischia, e molto, ma a un certo punto questo rischio si sposta sul pubblico, e noi proviamo paura, o dolore, o sconcerto, per lei certo, ma soprattutto per noi. E qui la mostra si attiva realmente, in modi che restano difficili da definire.
"A fine anni Settanta - ha poi raccontato Marina Abramovic - la performance era anche un evento fashion, c'era una comunità di gente alla moda che seguiva le performance. Questa cosa è completamente finita, perché l'arte è diventata una merce, perché è troppo costosa ed è schiava del mercato".
Parole forse non nuovissime, ma che dette da un'icona assumono probabilmente un altro significato, che ha a che fare anche con la dinamica di presenza-assenza (ma anche vita-morte se volete) che informa tutta l'opera della Abramovic.
"Di fronte al pubblico - ha detto - si attiva qualcosa che posso definire un super-sé. Più si va a fondo in se stessi, più si diventa universali come artisti".
Decisiva, soprattutto in un'opera come quella della casa sull'Oceano - che ovviamente non c'è, ma le cui acque si riflettono in qualche modo negli occhi degli spettatori -, è la riflessione sul tempo, che appare un altro dei fili rossi filosofici chiave per avvicinarsi con serietà al lavoro di Marina Abramovic, per chi non si accontenta di letture scontate, così come delle facili categorizzazioni.
"Non posso dire che il mio lavoro sia politico, o sociale, spirituale o disturbante - ha concluso l'artista - È tutte queste cose insieme. E credo che più un lavoro è stratificato, più dura nel tempo".
A cura di Askanews