Coronavirus, Clementi: garantire pluralità dei test sierologici

Il virologo del San Raffaele: servono esami su grandi numeri

    Milano, 23 apr. (askanews) - Un importante contributo per sostenere lo sforzo del Sistema Sanitario nel passaggio alla "Fase 2" dell emergenza Covid-19 arriva dai nuovi test sierologici per la determinazione degli anticorpi diretti contro il coronavirus. Ne abbiamo parlato con il professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia al San Raffaele di Milano. A partire da una spiegazione su cosa siano i test sierologici e gli anticorpi neutralizzanti.

    "I test sierologici - ha spiegato - sono quei test che consentono di diagnosticare una avvenuta infezione sulla base della comparsa degli anticorpi. Ogni virus è riconosciuto come una struttura non propria dal sistema immunitario e in quanto tale stimola una immunità producendo diverse classi di anticorpi. Questi insorgono dopo l'avvenuta infezione e quasi sempre accompagnano la guarigione del soggetto nei confronti di una infezione virale. In questo ambito una particolare sottopolazione di questi anticorpi viene definita neutralizzante. Gli anticorpi neutralizzanti messi insieme al virus neutralizzano l'infettività del virus".

    Secondo il professor Clementi purtroppo conosciamo da poco questa infezione: "L'esperienza in queste prime settimane ci è servita per valutare in che modo si comporta il virus. Il virus può infettare per pochi giorni. In alcune persone la positività del tampone dura per pochissimi giorni. In altri casi per molte settimane, anche 5 o 6 settimane. In questa forchetta c'è tutta la storia dell'infezione. A volte è una virosi lieve con pochi sintomi. A volte è una infezione che evolve in una polmonite che dà una malattia sistemica piuttosto grave. Ci si chiede se esista una popolazione di asintomatici che non hanno manifestato sintomi pur avendo avuto l'infezione".

    Una questione fondamentale su cui tutti si interrogano è la cosiddetta "patente di immunità": "Oggi - ha spiegato Clementi - non sappiamo quanto e in che modo la stimolazione degli anticorpi neutralizzanti sia evocata dall'infezione. Non sappiamo nè se questo avviene sempre nè quando avviene. Dobbiamo ancora valutarlo e quindi l'immunità, che probabilmente ci può

    essere in una infezione virale come questa, non è ancora dato sapere quanto duri nel tempo e se è evocata in tutte le persone che sono state infettate".

    Con l'imminenza della fase 2 cresce l aspettativa per gli studi epidemiologici sull'infezione e per le caratteristiche dei test per questi studi: "Le caratteristiche che un test dovrebbe avere - ha sottolineato il virologo - è di evidenziare il più possibile con una elevata sensibilità e specificità i soggetti che si sono infettati. Per avere risultati affidabili dovrebbero essere molto sensibili anche avere la possibilità di essere seguiti su alti numeri e poter consentire quindi una valutazione di un'ampia fetta della popolazione".

    Molte multinazionali in questo periodo sono al lavoro per immettere sul mercato già dalla prossima settimana test attendibili. Oltre a quello prodotto dalla Diasorin sono in arrivo quelli di colossi come Abbott, Roche e altri che però rischiano di rimanere fuori dalle gare già in corso perché i tempi tecnici non ci sono. E' un rischio l'ipotesi di un test unico nazionale? "Sarebbe abbastanza singolare - ha commentato Clementi - perchè non è mai avvenuto per nessun'altra malattia infettiva. C'è sempre stata una pluralità di offerte del mercato che ha favorito anche l'evoluzione tecnica e il confronto di conoscenze. Mi sembrerebbe singolare. Ho ascoltato anche io questa proposta ma mi sembra che appartenga a un'ipotesi un po' troppo dirigista e un po' poco razionale".

    A cura di Askanews