Virologo Lina: immunità di gregge "nel tempo" con gli under 50

Il professore di Lione: lavorare su due piani, non solo vaccino

    Lione (Francia), 23 apr. (askanews) - Bruno Lina, professore di virologia al centro ospedaliero universitario di Lione (HCL, Hospices civil Lyon) e membro del comitato scientifico del governo, ritiene che l'immunità collettiva al Covid-19 "debba farsi nel tempo", in particolare attraverso le persone con meno di 50 anni nelle quali il tasso della forma molto grave della malattia è relativamente debole".

    "Come si fa per avere il 65-70% di immunità sapendo che quando abbiamo una circolazione del virus che tocca poco più del 10% della popolazione, abbiamo i servizi sanitari che sono saturi, abbiamo i reparti di rianimazione saturi. Bisogna dunque che questa immunità si faccia nel tempo, bisogna che si faccia caso per caso, e che, possibilmente, si faccia con persone che non sono le persone che vanno a fare i ricoveri in rianimazione o in ospedale", ha spiegato in un'intervista a France Presse.

    "Abbiamo ora un'idea molto chiara che sono probabilmente gli adulti giovani fino a 60 anni, forse un po' meno, fino a 50 anni che hanno tassi delle forme più gravi relativamente deboli, meno dell'1%, perfino meno dello 0,1%, e dunque se loro si immunizzano, rappresentano una popolazione estremamente importante e finiscono per proteggere l'intera popolazione", ha aggiunto Lina.

    "Tutti i passi dell'immunizzazione collettiva che si sono fatti da quando è stato levato il lockdown sono: cercare di aumentare progressivamente l'immunità collettiva per raggiungere il più rapidamente possibile ma non troppo velocemente la soglia della protezione generale. E allo stesso tempo proteggere i più fragili", ha sottolineato.

    "Oggi, in base ai calcoli e alle misure di risposta immunitaria, ci sono numerose incertezze. Abbiamo incertezze perché i test non sono buoni", ha detto.

    "Ciò che ci auguriamo di avere con un vaccino, è una risposta immunitaria che ci protegga - ha proseguito l'esperto, concludendo -

    finché non saremo capaci di dire 'ecco la risposta immunitaria che ci protegge' sarà molto difficile dire che a un vaccino efficace".

    "Quindi abbiamo bisogno di lavorare su due piani paralleli: da una parte, analizzare la risposta immunitaria post-infezione per identificare quali sono i marcatori che ci dicono 'questo paziente ha questo tipo di anticorpi, o questo tipo di risposta immunitaria, quindi sappiamo che non può più essere infettato'. E dall'altra parte sappiamo che se gli è stata indotta questa risposta immunitaria con un vaccino, sarà protetto".

    A cura di Askanews