Comix amarcord
Dal 2006, a opera del kuwaitiano Dr. Naif Al-Mutawa e di un nutrito gruppo di veterani della Marvel e della DC Comics, nel mondo musulmano esce una serie di fumetti ispirati ai valori e alla cultura islamica.
Dal 2006, a opera del kuwaitiano Dr. Naif Al-Mutawa e di un nutrito gruppo di veterani della Marvel e della DC Comics, nel mondo musulmano – e dal 2007 anche in traduzione inglese – esce una serie di fumetti ispirati ai valori e alla cultura islamica dal nome "The Ninety-Nine", che racconta le avventure di 99 adolescenti che acquisiscono ciascuno un superpotere che fa riferimento ai 99 attributi di Allah. Anche se la connotazione musulmana della serie è inequivocabile, la religione dei protagonisti non è esplicitata e, in ogni caso, i valori propugnati sono chiaramente positivi e contribuiscono a infrangere non pochi stereotipi sull’Islam.
I fumetti mi piacciono, ma era parecchio che non mi capitava di incontrare una serie che mi colpisse tanto e, seguendo il filo dei pensieri, sono cascato nel più puro degli amarcord, rievocando i comix (anche se allora non si chiamavano ancora così) che hanno segnato la mia educazione sentimentale.
Inevitabilmente i primi eroi in cui mi sono imbattuto sono quelli della saga disneyana (per qualche anno, da bravo bambino, sono anche stato socio del Club di Topolino). Ai tempi non mi era chiarissimo chi mi stesse più simpatico tra Topolino e Paperino: probabilmente preferivo le storie investigative del topo, ma mi divertiva di più il papero, specialmente quando era alle prese con quell’essere insopportabile di Paperone. Paperinik era una passione a sé. Quasi in contemporanea, però, ho scoperto il "Corriere dei piccoli", che alla fine degli anni ’60 era una vera miniera, contenendo Cocco Bill e Zorry Kid di Jacovitti (che se fosse nato in Francia ora sarebbe famoso come Duchamp), "La Ballata del Mare salato" con un giovanissimo Corto Maltese, e il meglio della produzione franco-belga dell’epoca. Tra i prodotti più singolari, Michel Vaillant, pilota di Formula uno disegnato da un documentatissimo Jean Graton con un’idea di sceneggiatura molto avanti per quegli anni, in cui si mescolavano personaggi d’invenzione con autentici piloti dell’epoca, da Jacky Ickx a Jackie Stewart.
Meno innovativo, ma sorretto da un impianto classico, il giornalista investigativo Ric Hochet (che da noi si chiamava Ric Roland, forse perché in quell’epoca linguisticamente ingenua si tendeva a leggere come si scriveva e Hochet suonava male); memorabili le sue giacche che dal disegno non si capiva se fossero in tweed o in qualche altro tessuto ruvido di lana. E avanti così: Bernard Prince, l’avventuriero navigatore, Blueberry, allora se non ricordo male non ancora tenente, il fantascientifico Luc Orient che si muoveva in un mondo di astronavi e galassie psichedeliche e, tra i personaggi comici, i Puffi, già i Puffi: quante cose c’erano in quel giornale! L’ho comprato per anni, sopportando il cambio di nome da "Corriere dei piccoli" a "Corriere dei Ragazzi", ma come quasi tutti l’ho abbandonato quando, nella seconda metà degli anni ’70, si è trasformato in "CorrierBoy", una copia scipita di "Lancio Story". Tutte le cose belle devono finire.
Per fortuna, parallelamente avevo scoperto due autentiche colonne del mio immaginario adolescenziale: i Peanuts e Alan Ford. Ovviamente i Peanuts non si chiamavano ancora così; o meglio, forse Oreste del Buono e Umberto Eco li chiamavano con il loro nome, ma per noi ragazzi del volgo erano semplicemente Charlie Brown. A dispetto che all’inizio uscissero su Linus – altro momento mitopoietico alto, che si fregava ai fratelli o ai compagni di qualche anno più grandi – e che le noccioline fossero numerose, il ragazzino dal maglione con la greca dava giustamente il nome alla serie: basterebbe la saga di Charlie Brown che ogni volta si vede sottrarre il pallone da Lucy per un Nobel per la letteratura postumo; e chi non ha trepidato per la ragazzina dai capelli rossi? Anche se, e qui credo di essere assolutamente mainstream, il personaggio con le maggiori sfaccettature era il bracchetto. Snoopy che si credeva l’asso dell’aviazione della Prima guerra mondiale è qualcosa che resterà, così come Joe Falchetto che lumava le pupe o la notte buia e tempestosa in cui scriveva i suoi lunari racconti: “Sebbene suo marito andasse spesso in viaggio per affari, ella odiava stare sola – Ho risolto il problema – disse egli – ti ho comprato un san Bernardo. Si chiama Estrema Riluttanza. Adesso, quando vado via, sai che ti lascio con Estrema Riluttanza! – Ella lo colpì con un mestolo.” Per tacere dei sensazionali rifiuti delle case editrici a cui spediva i manoscritti: “Egregio collaboratore, le rimandiamo il suo stupido racconto. Lei è uno scrittore tremendo. Perché ci importuna?. Non compreremmo un suo racconto neanche se ci pagasse. Ci lasci perdere. Sparisca. Crepi”.
E poi, l’ultima grande acquisizione prima dell’età adulta (o quasi), la sgangherata banda del Gruppo TNT che aveva il suo quartier generale nel retro del negozio di fiori di Manhattan. Meravigliosa la poetica di quel gruppo: la vita è ingiusta, probabilmente tu ti troverai dalla parte sbagliata e qualche manigoldo la passerà liscia, tu però continua a combattere, tanto se ti fermi la prendi in saccoccia lo stesso. Zero retorica. Zero buonismo. Zero stupidità. Decenni dopo sono arrivati i comix acidi alla South Park, Simpson e compagnia bella, ma i germi erano già là e, secondo me, con anche più poesia. C’era tanta genialità nelle creature di Luciano Secchi (Max Bunker) magistralmente disegnate da Roberto Raviola (Magnus). E' stata una stagione breve ma felice, poi quando i disegnatori sono cambiati la scintilla del genio si è spenta anche in Bunker, ma in quei pochi anni gli aneddoti del Numero Uno si sono tatuati nell’anima della mia generazione: “Eravamo io, Omero e Achille e allora gli detto, Omero, io sono troppo vecchio, ma…”. Ma anche gli altri personaggi erano indimenticabili: il rabbioso nanerottolo Bob Rock che finiva sempre cornuto e mazziato; Alan Ford, bello e un po’ scemo; il conte, ladro con le pezze al culo e classe da vendere; il pazzo aviatore Otto Von Grunt, detto Grunf, con i suoi motti deliranti sulle magliette: “Chi vale vola, chi vola vale, chi non vola è un vile”. E anche tutti gli altri, ma basta così. Chiudo con un pensiero rivolto a un’invenzione di Bunker entrata nel costume di quelli oltre i quaranta: la fiatata alcolica di Superciuck, lo spazzino derelitto che ha schifo dei poveri, che sono sporchi e gli imbrattano le strade, e si trasforma nel supereroe che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Ma quanto era avanti?
Non so se "The 99" sarà importante per i ragazzi del mondo islamico quanto lo sono stati per me i fumetti citati qui sopra, ma spero di sì: i sogni, da ben prima di Marzullo, aiutano a vivere.
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