Fine di un'utopia
I bei tempi pioneristici di Internet stanno volgendo alla fine. Non sono più i giorni della frontiera, quando ogni orizzonte era vergine e il primo che riusciva a scorgere un nuovo tratto di terra poteva considerarlo suo.
I bei tempi pioneristici di Internet stanno volgendo alla fine. Non sono più i giorni della frontiera, quando ogni orizzonte era vergine e il primo che riusciva a scorgere un nuovo tratto di terra poteva considerarlo suo. Adesso da più parti e continuamente sorgono nuovi ranch che delimitano la prateria sconfinata e chi vuole entrare deve mettersi nell’ordine di idee che deve pagare; magari poco, ma non è più gratis.
Murdoch ha deciso che fra poco uscirà un quotidiano via Internet a cui sarà necessario abbonarsi; sono sempre più intense le voci che anche altri quotidiani americani, europei e italiani stiano per diventare a pagamento; in Francia Hadopi, la Haute Autorité pour la diffusion des œuvres et la protection des droits sur Internet (Alta autorità per la diffusione delle opere e la protezione dei diritti su Internet), dall’ottobre scorso sta spedendo circa duemila lettere al giorno – è pur vero ben meno delle diecimila minacciate – agli utenti di Internet beccati a scaricare contenuti illegali, nel senso di musiche, film protetti dal diritto d’autore eccetera (e al terzo avviso addio Internet); Google sta prendendo le sue precauzioni affinché i video diffusi indebitamente via YouTube siano ritirati entro ventiquattr’ore; sempre in Francia tre società di gestione collettiva hanno firmato alla fine di novembre un accordo con YouTube: per ogni opera diffusa attraverso la piattaforma una somma preventivamente negoziata sarà versata agli organi di gestione che la rigireranno agli autori; peraltro in settembre un primo accordo era già stato firmato con la Società degli autori, compositori ed editori musicali. Intanto, in Svezia, la giustizia ha ridotto in appello le condanne ai tre fondatori di The Pirate Bay – uno dei peer-to-peer più popolari al mondo con i suoi circa 23 milioni di affiliati – ma ha rincarato gli indennizzi che questi devono pagare, passando da 32 milioni di corone (circa 3,3 milioni di Euro) a 46 (circa 4,6 milioni).
Insomma, come si vede è uno tsunami. Quello che fino adesso è stato un territorio ancora semiselvaggio sta per essere riportato entro le regole. Può non piacere - e a molti internettiani, specialmente a quelli della prima ora, non piacerà - ma credo ci sia poco da fare. Peraltro, da un certo punto di vista è anche giusto: dietro a film, musiche e ai prodotti dell’ingegno ci sono persone che lavorano, che si impegnano e che è doveroso ottengano il loro compenso. Da un altro punto di vista, dà fastidio. La rete è nata libera e a lungo ha coltivato questo disegno, forse utopico, dove a ciascuno potesse essere dato quel che desiderava in modo più o meno libero. Ora, probabilmente, è giunto il momento di aprire gli occhi e di confrontarsi con l’inevitabile realtà, per quanto poco gradita. Del resto, c’è forse qualcuno che ha il coraggio di sostenere che gli autori non abbiano diritto a essere remunerati per i loro sforzi creativi?
Eppure, a noi italiani scoccia sempre un po’ più degli altri quando ci viene sottratta la possibilità di non pagare qualcosa. Ma in questo caso credo che dovremmo fare uno sforzo virtuoso. Certo, non è una cosa che si possa fare con un puro, sovrumano atto di volontà. Se uno può evitare di mettere mano al portafoglio, lo fa ben volentieri, è nei nostri geni. E allora, per evitare di doverci frustrare ogni volta che dovremo pagare il giusto, in modo che non ci sembri un sopruso intollerabile, potremmo cogliere la palla al balzo della liberazione del Wi-Fi a seguito della fine della legge Pisanu e l’auspicabile diffusione del Wi-Max e provare a immaginarci una forma di tassazione a monte, sul reddito IRPEF, in cui ciascuno paghi una piccola quota del proprio reddito, in modo da aver diritto ad accedere legalmente a tutta una serie di contenuti senza doverli trafugare. Se la quota è bassa, ma è pagata da tutti e all’origine, anche la nostra parte più furbetta potrebbe trovarsi d’accordo e, magari, scoprire che essere onesti è più facile se c’è una legge che ti aiuta a esserlo. Certo, tutto questo sarebbe più facile se Internet diventasse un diritto costituzionale, come in alcuni paesi scandinavi e non un’occasione per fare degli affari di retroguardia tra provider, ma forse ci vorrà ancora un po’.
Il Foglio sportivo - in corpore sano