Rosso come il Libano

Edoardo Narduzzi
Forse nessun altro paese del medioriente può aiutare a capire cosa occorre fare per sconfiggere il terrorismo sunnita del Daesh meglio del Libano.

    Forse nessun altro paese del medioriente può aiutare a capire cosa occorre fare per sconfiggere il terrorismo sunnita del Daesh meglio del Libano. Ho parlato con il numero uno in Italia dell’Ordine antoniano maronita, Maged Maroun, e ho subito scoperto il caleidoscopio religioso del paese dei fenici. “Gli ordini o le chiese di ispirazione cristiana presenti in Libano sono ben quattordici e noi siamo i più grandi, poi ci sono tutte le altre religioni”, mi spiega Maroun mentre offre i dettagli della battaglia per la difesa della proprietà della terra che da secoli portano avanti i cristiani del Libano. Diversità religiosa e convivenza: una sfida che vale non solo a Beirut. Il Libano è anche un’isola enologica di crescente interesse nel Mediterraneo. Nella valle della Bekaa, un tempo terreno di guerra ed ora patria del 90 per cento dei prodotti enologici del paese, fioriscono innovative e interessanti aziende vinicole. Come lo storico Château Kefraya, ovvero l’unica etichetta libanese che ha avuto la capacità di strappare un voto di livello internazionale a Robert Parker’s Wine Advocate. L’annata del 2009 della bottiglia Comte de M, un blend di Cabernet Sauvignon, Syrah e Carignan, ha spuntato un ottimo 92/100, il più alto di sempre per un vino libanese e viene pagata mediamente quaranta euro. Per chi, invece, volesse provare qualche profumo del Terroir emergente delle colline di Batroun, allora la migliore cantina del luogo è la Ixsir (http://www.ixsir.com.lb/), una new entry degli ultimi anni. Si suggerisce inoltre di provare il bianco Altitudes un blend originale di vitigni – 40 per cento Muscat, 30 Viognier, 15 Sauvignon e 15 Sémillon – che certifica bene il vantaggio che si può ottenere facendo convivere la diversità amalgamandola.