Gambero in rosso
La scorsa settimana, dopo alcuni rinvii e un ulteriore sconto del 20 per cento sul valore più basso dell’iniziale forchetta di collocamento, il Gambero Rosso è sbarcato in Borsa. I primi scambi hanno registrato un ulteriore ribasso di circa il 15 per cento e ora, al netto dei circa 7,1 milioni di cassa raccolti tra i nuovi soci con l’aumento di capitale, vale meno di 13 milioni. La teoria finanziaria insegna che, in fase di Ipo, le asimmetrie informative portano a prezzi iniziali a sconto, ma gli advisor in questo caso hanno optato per una diversa strategia.
Ad ogni modo la quotazione del Gambero Rosso è una buona notizia per il comparto anche perché offre al mercato la possibilità di investire in un brand storico dell’enologia italiana, giusto in scia con la chiusura dell’Expo. E soprattutto perché favorirà il riposizionamento della società che oggi fa contestualmente troppe cose: editoria; formazione; broadcasting; eventi e manifestazioni. Le guide in piena googlenomics scontano l’effetto Pagine Gialle, perché le ricerche si fanno altrove. La formazione non ha mai entusiasmato gli investitori e la dimensione televisiva soffre l’arrivo delle varie Netflix e dell’avanzata del broadband.
L’occasione potrebbe essere rappresentata dall’emergente business dei big data e dai servizi a valore aggiunto digitali. Ma in questo caso la partita va ben oltre i confini domestici, non solo perché la domanda interna resta rarefatta così da condannare tutto il made in Italy a prendere la valigia per cercare all’estero occasioni di business, ma perché i servizi associati alla scelta di acquisto del vino sono oggi sempre più made in Usa. Un trend che il Gambero può provare a invertire.
Il Foglio sportivo - in corpore sano