Il vino della Troika

Edoardo Narduzzi
Ormai è chiaro: lo strumento preferito di guerra nel nuovo ordine mondiale sono i prezzi delle materie prime. Facendo oscillare i valori di scambio del petrolio si interviene direttamente sugli equilibri del potere economico e finanziario tra le varie aree geografiche del globo e si decide, o si pen

    Ormai è chiaro: lo strumento preferito di guerra nel nuovo ordine mondiale sono i prezzi delle materie prime. Facendo oscillare i valori di scambio del petrolio si interviene direttamente sugli equilibri del potere economico e finanziario tra le varie aree geografiche del globo e si decide, o si pensa di poterlo fare, sulla velocità di navigazione della globalizzazione. Un secolo fa tutto si sarebbe risolto militarmente e con metodi coloniali, oggi si preferiscono gli choc petroliferi. Così non deve sorprendere se il prezzo del barile in meno di un anno crolla dell’80 per cento scendendo da oltre cento dollari al barile fino ai quasi venti. Ed ancor meno può meravigliare che paesi petroliferi, come la Russia o l’Arabia Saudita, decidano di giocare la partita rilanciando anche militarmente in Yemen e in Siria, quindi spendendo di più attingendo da un budget già reso scarno dal crollo dei prezzi petroliferi.
    Non è una buona notizia neppure per il comparto enologico. Due economisti del Fondo monetario internazionale, Serhan Cevik e Tahsin Saadi Sedik, hanno scoperto che tra il 1998 e il 2010 c’è stata una correlazione quasi del 90 per cento nell’andamento dei prezzi di due beni: il rialzo del barile ha coinciso quasi perfettamente con la crescita dell’indice Liv-ex Fine Wine prezzato a Londra, tanto che decidere di investire nell’uno, il petrolio, o nell’altro asset, il vino iconico, ha avuto risultati praticamente equivalenti per il risparmiatore. Se la correlazione si ripeterà anche al ribasso, allora il vino non sarà un bene rifugio nel quale investire in questa fase di volatilità della geopolitica mondiale.