Poco da brindare, c'è aria di patrimoniale. Ma forse “solo” sul vino italiano
Ci sarà una luce in fondo al tunnel dell’economia italiana oppure sarà stagnazione secolare? Il nuovo downgrade di Fitch sulla crescita del pil nel 2016, rivisto al ribasso per la seconda volta in poche settimane dall’1,3 per cento all’1 per cento, e la fragilità della crescita 2015 e dell’andamento di fine anno della congiuntura hanno riacceso i dubbi. L’Italia, nonostante il Jobs Act e le riforme istituzionali, resta al palo economico. Le aspettative non si invertono e gli investimenti privati latitano. Forse serve uno choc più profondo di quanto il governo Renzi e la comune vulgata ritengano. La crisi è così profonda che per far bere il cavallo non bastano neppure i tassi di interesse negativi. Uno choc sullo stock del debito pubblico potrebbe, per esempio, essere la manovra giusta. Magari innescato da un’imposta patrimoniale che ne riduca in maniera sensibile il suo ammontare e offra a mercati e investitori il segnale che da anni attendono.
Una patrimoniale anche sulle etichette del vino, visto che quelle dei vini più pregiati hanno ormai raggiunto in asta valori da quadro di autore. La finanziarizzazione del vino italiano è stata certificata anche da Mediobanca: chi avesse investito un euro nel 2001 nelle bottiglie più iconiche dell’enologia italiana avrebbe oggi guadagnato il 160 per cento, mentre lo stesso euro investito ai valori minimi delle Borse mondiali nel 2008 varrebbe oggi 3,4 euro rispetto ai 2,25 guadagnati investendo nelle azioni.
Certo sapere quanto vino meritevole di un’imposta patrimoniale esiste davvero in ogni cantina è operazione non agevole. Ma ogni bottiglia di valore è numerata e monitorabile nei suoi passaggi proprietari. Volendo, quindi, una patrimoniale sul vino iconico sarebbe agevolmente organizzabile.
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