Vini senza frontiere
I vigneti italiani non corrono alcun pericolo di essere bombardati da elicotteri guidati da uomini della Banca centrale europea, intenti a lanciare sacchi pieni di euro. La deflazione dei prezzi non mette in pericolo l’enologia italiana perché i consumi di vino italiano crescono e anche bene. Tutto merito dell’export visto che nel 2015 ben 5,4 miliardi di controvalore di bottiglie made in Italy sono state vendute all’estero. Si tratta del 38,5 per cento della produzione totale annua, un segno forte dell’impatto della globalizzazione dei consumi su un comparto, quello enologico, che fino agli anni novanta del secolo scorso era solito consumare a livello domestico gran parte della sua produzione.
Il vino è un caso di scuola molto interessante per analizzare come l’internazionalizzazione della domanda possa più che compensare il crollo dei consumi domestici. I litri di vino consumati pro capite da ogni italiano, infatti, sono crollati dai 111 litri medi del 1966 ai 37 attuali, un trend così prolungato e pronunciato che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi settore produttivo. Soprattutto se incapace, nel frattempo, di trovare altrove la domanda sparita nel mercato domestico.
E’ quanto ha saputo, invece, fare l’enologia italiana negli ultimi tre decenni. Più export di vino di qualità a elevato valore aggiunto; più export di spumanti; un gran balzo nelle esportazioni di prosecco; debutto nel mercato globale di moltissimi vitigni autoctoni che negli anni ottanta o novanta solo gli esperti conoscevano al di fuori dell’Italia. Un piccolo miracolo italiano messo a segno da un comparto fatto di tanti medi e piccoli imprenditori. Un esempio per chi pensa che dalle crisi si possa solo uscire con più investimenti pubblici e più spesa pubblica.
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