Brexit, ma il vino?
Vendere vino europeo e italiano a Londra potrebbe essere sempre più difficile
Theresa May ha scelto la linea di negoziazione con Bruxelles: il Regno Unito uscirà dal mercato unico europeo e dall’unione doganale. Non sarà una nuova Svizzera o una nuova Norvegia, ma il futuro rapporto tra l’Ue e Londra è ricco di originalità per le merci abituate da decenni a circolare liberamente senza dazi e tariffe. Futuro, quindi, tutto da decifrare anche per l’enologia italiana che già nel corso del 2017 dovrà fare i conti con la svalutazione superiore al 15 per cento registrata dalla sterlina verso l’euro nei mesi post Brexit. Vendere vino europeo e italiano a Londra potrebbe essere meno facile, soprattutto se Londra concederà trattamenti doganali di favore alle produzioni enologiche del Commonwealth, come quelle dell’Australia, della Nuova Zelanda e del Sudafrica, o al vino statunitense sulla scia di una rinnovata sinergia politica con gli Usa di Trump. Il secondo miglior mercato di esportazione europeo, ma quello migliore in valore, e la piazza di Londra, unica nel suo genere per consumi annui di etichette iconiche, sono entrati in uno scenario davvero poco chiaro. A essere realisti viene da consigliare prudenza e un riposizionamento del budget nell’export ai produttori italiani: nel prossimo decennio vendere vino italiano nel Regno Unito sarà meno profittevole e facile. Nuove tasse e nuovi dazi potrebbero produrre un effetto spiazzamento in favore di concorrenti globali, per usare le parole della May, perché una Great Britain Global non farà sconti ai produttori del Vecchio continente.
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