Dal Sondaggio Massimo alla profezia di Salvati che si avvera
Veltroni e D'Alema, Veltroni oppure D'Alema? La novità di W e la sua ombra
Un colpo al cerchio (Max D'Alema) e uno alla botte (W). E adesso? Riassunto delle puntate precedenti. Christian Rocca da New York pubblica un articolo sincero e tagliente dal titolo: "Contro Massimo senza pietà". Si suggeriva a W di scaricare Max (D'Alema) se voleva continuare sulla strada di un PD nuovo e moderno. E' seguito un pullulare di opinioni su Hyde park corner che in maggioranza schiacciante sottoscrivevano parola per parola la posizione di Rocca. Anche i redattori del foglio si sono schierati. Il vicedir Bellasio è tutt'uno con l'americano Rocca. Marianna Rizzini, che ha specificato di parlare con la sua "anima dalemiana", concorda sull'avversione per l'alleanza Veltroni-Di Pietro, ricordando che "D'Alema e i cosiddetti dalemiani, tra cui Anna Finocchiaro, si distinguevano per garantismo (a differenza del resto dei diessini). E allor a me sembra che D'Alema e i dalemiani siano ancora il miglior antidoto ai Dipietri". Rizzini si augura poi che, "per tardiva metamorfosi", Max diventi prima o poi "quello che la sua intelligenza prometteva". In sintesi: non eliminerebbe MAI Max, "nonostante le uscite un po' così sulla sinistra, che vedo però più come una smania (deleteria ma temporanea) di distinzione da W., destinata a riassorbirsi non appena Letta e Bersani troveranno uno spazio certo nel Pd". Marina Valensise trova invece che Rocca da NY non si perda una virgola del dibattito italiano, "ma su D'Alema sogna a mani nude". E' seguito poi un articolo - ripreso anche da altri quotidiani, intitolato: "Sondaggio Massimo" (il 55,4 per cento dei parlamentari di Pdl e Lega preferisce Max a W). Dunque il dibattito è aperto: è W che deve scaricare Max, o è Max che deve scaricare W? Intanto, con la nascita del governo ombra e del nuovo coordinamento del Pd, D'Alema è uscito dagli organi dirigenti del nuovo partito, così come l'ex presidente del Senato, Franco Marini. Si avvera così un'antica profezia di uno dei padri intellettuali del Pd, l'economista Michele Salvati.
Roma. Il centrodestra preferisce Massimo D'Alema a Walter Veltroni. Il segretario dei Ds che ispirò la Bicamerale e guarda oggi a Tremonti e Bossi batte 41 a 25 (con 8 indecisi) il leader a vocazione maggioritaria del Partito democratico preferito (forse) dal Cavaliere. Nel sondaggio autarchico del Foglio si è espresso un campione di 74 senatori e deputati di Pdl e Lega, ovvero il 14 per cento del centrodestra parlamentare. D'Alema vince con il 55,4 per cento dei voti, Walter si ferma al 34 per cento. Dunque, 74 senatori e deputati e una domanda secca: meglio Veltroni o D'Alema? Così, se l'onorevole Alfredo Mantovano del Pdl si difende con un “sono in conflitto d'interessi: nel 2001 ero candidato contro D'Alema, ma non riesco a dire che è meglio Veltroni”, altri si sbilanciano molto di più. Per Beatrice Lorenzin, Pdl alla Camera, “meglio D'Alema perché ha i baffi”. Il senatore Pdl Mario Ferrara vota D'Alema: “E' un uomo delle istituzioni, dà la sicurezza dello statista: sarebbe un onore essere battuti da lui. Veltroni mi pare mollacchio”. A ruota l'onorevole Margherita Boniver, Pdl: “D'Alema ha un aspetto cattivo che nasconde perspicacia e intelligenza, Veltroni ha un aspetto buono che nasconde malevolenza”. Maurizio Lupi, alla Camera con il Pdl, si sbilancia: “Il mio cuore batte per Massimo”. Anche Giancarlo Giorgetti, Lega, è per Massimo, “almeno non recita”. E se Gregorio Fontana del Pdl sceglie D'Alema perché “almeno si capisce che è un avversario, mentre Walter fa tenerezza”, Agostino Ghiglia si lancia in citazioni classiche: “Fossi io nel Pd a Veltroni avrei fatto fare la fine di Giulio Cesare”. Daniele Molgora, senatore leghista, spiega che “siccome D'Alema è più pericoloso, meglio Veltroni”. Sibillino il senatore Mauro Cutrufo: “Come velista è meglio D'Alema, conosce la navigazione astronomica meglio di Walter”. Benedetto Della Vedova, alla Camera per il Pdl, “Veltroni ha un'idea precisa, per D'Alema la politica è un lego da smontare”. Buonista l'onorevole Nicola Cosentino del Pdl: “Con D'Alema la sinistra ogni tanto vince”, mentre è Marcello De Angelis ad aprire il filone “circense”, seguito da molti colleghi: “Preferisco Massimo, Veltroni ha trasformato la politica in un circo”. La serietà di D'Alema è quella che ha fatto propendere senatori e deputati di centrodestra per l'ex ministro, come la senatrice Anna Bonfrisco, Pdl: “Veltroni è un po' un fenomeno da baraccone”. “D'Alema forever, Walter è spettacolo” è il giudizio del senatore Pdl Angelo Cicolani. Per Alfredo Mantica, deputato Pdl, “D'Alema fa politica, Walter spettacolo”. Su sponda Lega nord, il deputato Massimo Polledri è sicuro: “Mille volte D'Alema, Veltroni è solo una festa del cinema”. Il suo collega di partito al Senato Piergiorgio Stiffoni preferisce D'Alema: “Veltroni è un presuntuoso perdente”. Un altro leghista che siederà a Palazzo Madama, Paolo Franco, dice che “se fosse una torre li butterei giù entrambi”. Così dalla Camera gli fa eco Giorgio Stracquadanio del Pdl, che chiede se sia “il gioco de Latorre, tutto attaccato”, e aggiunge: “In vista di una permanenza del Pdl al governo per i prossimi dieci anni dico Walter; per un ritorno alle manovre di Palazzo dico D'Alema”. Per Pasquale Viespoli, senatore del Pdl, è innanzitutto una questione di meriti sul campo: “Mentre il baffetto attaccava i manifesti, Uolter attaccava le figurine”.
Simpatizzanti del leader del Pd ce ne sono anche tra le file del centrodestra, certo, anche se alcuni lo fanno in modo malizioso: Gabriele Toccafondi, deputato Pdl, dice: “Adoro Walter: con lui si vince facile”. Sulla stessa falsariga il senatore Pdl Andrea Fluttero, che vota per Walter “perché l'abbiamo già battuto”. Stefano De Lillo, senatore Pdl, preferisce Veltroni: “Lo facciano santo subito: ci ha fatto vincere le elezioni perfino a Roma e ha fatto fuori Prodi e Rutelli”. Sinceramente con Walter ci sono il senatore Gaetano Quagliariello, il deputato Pdl Alessio Bonciani (“Ha portato la novità del partito unico”), l'onorevole Valentina Aprea (“D'Alema è da Prima Repubblica, siamo nella Terza!”), il senatore Luigi Compagna (“per la sua minore prossimità coi terroristi palestinesi”) e l'onorevole Fiamma Nirenstein (“D'Alema è andato a braccetto con Hezbollah”). Anche Eugenia Roccella, neodeputata Pdl, sceglie il leader Pd perché “non c'è un'alternativa seria a Veltroni”, come l'onorevole Fabio Garagnani per cui Walter “è meno condizionato dalla tradizione comunista”. Su Veltroni scommette Paolo Guzzanti, deputato Pdl: “E' sottovalutato”. Osvaldo Napoli, deputato Pdl, vota da corporativista: “Scelgo Veltroni, è stato sindaco come me”.
“Almeno è rimasto di sinistra”
Con qualche eccezione che rimane indecisa (per l'onorevole Mario Baldassarri, Pdl, si cade “dalla padella alla brace”, per Carlo Giovanardi “sono uno a uno”) la maggioranza della “base” parlamentare del centrodestra, però, sembra decisamente sbilanciata per Massimo D'Alema. Per Stefano Stefani, deputato leghista, “è più intelligente politicamente”, per il senatore Pdl Giuseppe Menardi è “più intelligente” e basta. Stessa idea espressa dall'onorevole Niccolò Ghedini: “Anche se Massimo è meno socievole”. Di idea contraria (sul carattere) Raffaello Vignali, Pdl alla Camera, che preferisce “D'Alema umanamente, ma Veltroni politicamente”. Per il senatore Gianpiero Cantoni, Pdl, “Massimo è più vero, e soprattutto non ha capacità di autocritica”. Per Renato Farina, alla Camera col Pdl anche lui, l'ex ministro degli Esteri ha il pregio “di non prendersi troppo sul serio, e ha un'idea della storia e degli uomini più profonda di Veltroni”. Interessante la motivazione addotta da Alessandra Mussolini, alla Camera per il Pdl: “D'Alema senza dubbio, perché è un arrogante scontroso, mentre Veltroni è un fumetto, solo una parodia”. Le tiene bordone, più asciutto, Lucio Malan, senatore Pdl: “D'Alema, perché è più antipatico”. Per il senatore Gilberto Pichetto Fratin, Pdl, “D'Alema almeno è rimasto di sinistra”. “Non c'è da chiederlo”, sorride l'onorevole Fabio Rampelli, “D'Alema! Scontrarsi con Walter è una noia”.
Non si sbilanciano l'onorevole Stefania Craxi (“Sono entrambi prigionieri di una cultura che ha fatto il suo tempo”) e il senatore Domenico Gramazio (“Due facce della stessa medaglia”); super partes anche il senatore Paolo Barelli e l'onorevole Giorgio Simeoni (che si augura “che non si perdano entrambi per strada”). E mentre la deputata Maria Teresa Armosino dice che “Veltroni è una finta rappresentazione” e per il senatore Claudio Fazzone “almeno con D'Alema si ragiona perché ha i vecchi schemi della politica”, questa stessa motivazione fa scegliere Walter a Chiara Moroni, eletta alla Camera per il Pdl, perché D'Alema è il passato”. Guido Crosetto, Roberto Rosso e Gianfranco Conte, tutti deputati di Silvio Berlusconi, scelgono compatti D'Alema per la sua serietà. Con loro anche il senatore Cesare Cursi, mentre per Oreste Tofani, anch'egli a Palazzo Madama “comunque l'interlocutore ora è Veltroni”. Per D'Alema anche Donato La Morte, Achille Totaro, Mario Landolfi, Tommaso Foti, Carmelo Briguglio, Marco Zacchera, Enzo Raisi, i leghisti Ettore Pirovano, Manuela Dal Lago e Cesarino Monti. Per Walter Giulio Marini, Adolfo Urso, Sergio Divina, Massimo Parisi, Simone Baldelli e Giuseppe Calderisi.
di Salvatore Merlo e Piero Vietti
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Roma. Tutti i giornali hanno notato ieri l'assenza di due nomi dal nuovo coordinamento del Pd: quelli di Massimo D'Alema e Franco Marini. A cinque anni di distanza sembra dunque avverarsi la profezia di Michele Salvati, che il 10 aprile 2003 scrisse sul Foglio un lungo “manifesto per il Partito democratico” in cui sosteneva che le posizioni assunte in passato da D'Alema e Marini rendevano difficile “vederli coinvolti” nel nuovo progetto.
“La mia era un'ingenuità”, dice Salvati con una punta d'ironia. “Applicavo al nostro paese uno schema che funziona altrove, secondo cui coloro che si impegnano in un progetto, se il progetto cambia, non si inseriscono anche nel nuovo”. In questi cinque anni, evidentemente, il professor Salvati si è fatto meno ingenuo. La notizia dell'assenza di D'Alema e Marini dal vertice non sembra colpirlo molto. “Vorrà dire che si farà la riunione del coordinamento – commenta – e al termine della riunione si faranno due telefonate”. A colpire gli osservatori, però, è anche l'assenza dell'intera componente prodiana. La sera stessa dell'annuncio, dato a sorpresa da Walter Veltroni nella conferenza stampa convocata per presentare il governo ombra, Arturo Parisi ha criticato aspramente merito e metodo della scelta. “E' evidente che chi in questi organi non si riconosce – ha dichiarato – dovrà trovare altri modi per far sentire la propria voce”. E se il veltroniano Giorgio Tonini parla di “segnale di svolta”, “salto generazionale” e “grande rinnovamento”, per Parisi il punto è “l'esigenza di confronto che la sconfitta elettorale impone” e che dovrà dunque “cercare altri luoghi e altre strade dentro il partito, sui giornali e nel paese”. Dopo la lettera dei prodiani Mario Barbi e Mario Lettieri intitolata “Ma che posto c'è per noi in questo Pd?”, pubblicata giovedì sul Foglio, il piccolo mondo ulivista sembra dunque deciso a tornare all'attacco, convinto che la prima cosa da fare sia una grande “operazione verità” sulla sconfitta elettorale e sugli errori compiuti. Perché “non correvamo certo per diventare il secondo partito laburista europeo”. Del resto, ricordano gli ulivisti, l'associazione “I democratici” – quel che resta del vecchio “Asinello” – è ancora in piedi. Un altro pezzo di partito appare dunque deciso a farsi sentire, in un momento in cui non mancano associazioni, fondazioni e movimenti che all'interno del Pd cominciano a organizzarsi, per rappresentarne altrettante correnti, comunque le si voglia chiamare. “Diverse aree culturali che si confrontano credo siano linfa per il partito”, ha detto ieri Beppe Fioroni, che a breve distanza dalla riunione dalemiana sotto le insegne di Italianieuropei ha annunciato una “seconda Assisi” dei cattolici. Seguito dagli Ecodem fondati da Ermete Realacci, con diversi altri parlamentari di rito ambientalista-veltroniano, da Roberto Della Seta a Marianna Madia, che ieri hanno annunciato la costituzione di ben cento circoli.
“Torniamo allo statuto”
Secondo Salvati, il problema sta nel fatto che “dalla prima riunione dell'assemblea costituente fatta alla fiera di Milano in poi, il Pd vive secondo un meccanismo di delega dall'alto”. Comprensibile in piena campagna elettorale, aggiunge. “E vada pure per il coordinamento appena nominato, ma prima si torna ai meccanismi democratici previsti dallo statuto e meglio è”. Parole, come si vede, non lontane da quelle di Parisi, che potrebbero avere un'eco maggiore di quanto la consistenza della sua “area” lascerebbe pensare. Tanto è vero che nel loft qualcuno avanza l'ipotesi di un imminente colpo di scena. E cioè che Veltroni proponga proprio a Parisi l'incarico di presidente del partito. Non a Marini, dunque, per la semplice ragione che con il nuovo coordinamento tutte le cariche principali, escluso il solo segretario, sono ora in mano a ex democristiani: dal suo vice Dario Franceschini al nuovo responsabile dell'organizzazione Fioroni. Ma dopo la decisione di accontentare Francesco Rutelli con la presidenza del Copasi (cui aspirava Parisi) e con il rutelliano Paolo Gentiloni responsabile della comunicazione nel nuovo coordinamento – Parisi o Marini che sia il presidente – la presa della ex Margherita sugli organigrammi appare innegabile. E il ridimensionamento di Goffredo Bettini nel nuovo vertice ne è solo l'ultimo segnale. Del resto, anche quando del Pd era l'unico “coordinatore”, al loft non ha mai avuto nemmeno una stanza. Un prezzo che Veltroni avrebbe pagato, si dice, all'esigenza di “isolare D'Alema”, dando all'ulivista Rosy Bindi la vicepresidenza della Camera e mettendo Pierluigi Bersani, Piero Fassino ed Enrico Letta sia nel coordinamento sia nel governo ombra.
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La novità di W e la sua ombra
Il bipartitismo in via di perfezionamento ha fatto un altro passo in avanti sulle gambe di Walter Veltroni. Esattamente un giorno e un'ora dopo il giuramento del governo vero, arriva il governo ombra. Già questa è una bella novità, credibile perché gli italiani hanno scelto nelle urne di farsi rappresentare da due grandi partiti, più appendici. Credibile perché i nomi dei ministri ombra non sfigurerebbero (o non hanno sfigurato) in un ministero vero. C'è persino la sorpresa di un sindaco come Chiamparino per far capire che un po' di vera analisi della sconfitta nel Pd è iniziata eccome. L'altra bella notizia è che Antonio Di Pietro non c'è, anzi alla Giustizia va un esponente della Margherita e magistrato, Lanfranco Tenaglia, che intervistato dal Foglio ha già aperto al dialogo con il Pdl. L'esecutivo dell'opposizione è un fatto nuovo anche dal punto di vista culturale, ora sarà messo alla prova dei fatti, dei dibattiti in Parlamento (e in tv) e nel paese. Insomma, dovrà essere capito, ma c'è da scommettere che lo sarà. Un governo e un'opposizione, il governo che governa, il governo ombra che incalza. Il resto è o tatticismo politicista o pura rappresentanza di identità. Certo, Veltroni deve scendere a soluzioni di compromesso nella gestione di un partito che fino a poco tempo fa erano due, ed entrambi con correnti, e che ha perso le elezioni perché erede di un'esperienza di coalizione fallimentare. Dunque, tra governo ombra, coordinamento, costituente, c'è un po' di palude attorno ai due fatti nuovi. Però qui si fa festa, perché di Di Pietro neanche l'ombra.
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