Ingrid Betancourt è libera
Mamita sono stanca, qui la vita non è vita
Ingrid Betancourt è stata liberata. Dopo sei anni di prigionia l'ex candidata presidenziale francese-colombiana, nelle mani delle Farc dal 23 febbraio 2002, e insieme con lei gli statunitensi Thomas Howes, Keith Stansell e Marc Gonsalves, sequestrati nel 2003, sono stati liberati in un accampamento delle Farc, pare grazie a un blitz delle forze armate colombiane. Ecco cosa Ingrid scriveva dalla sua prigionia nella giungla.
Mamita, sono stanca, stanca di soffrire. Sono stata, ho cercato di essere forte. Questi sei (quasi) anni di prigionia mi hanno dimostrato che sono meno coraggiosa, intelligente e forte di quel che pensavo. Ho combattuto molte battaglie, ho cercato di scappare più di una volta, ho cercato di conservare la speranza così come si tiene la testa sopra il pelo dell'acqua. Ma oggi, mamita, mi sento sconfitta. Vorrei pensare che un giorno uscirò di qui, ma mi rendo conto che quello che è successo ai deputati, e che mi ha fatto molto soffrire, può capitare anche a me, in qualunque momento. Credo che sarebbe un sollievo per tutti. (…)
Mamita, per me è un momento molto duro. All'improvviso, vogliono delle prove della mia esistenza e così ti scrivo, la mia anima sospesa su questo foglio. Fisicamente, sto male. Non mangio più, mi manca l'appetito, perdo molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che l'unica cosa positiva sia questa: non aver voglia di niente. Perché qui, in questa giungla, l'unica risposta è: «No». Allora è meglio non desiderare nulla, per restare almeno libera dai desideri. Sono tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per avere qualcosa da leggere, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che me ne procurino uno, magari solo per compassione, ma è meglio non pensarci. Qui, qualunque cosa è un miracolo. (…)
Qui la vita non è vita, è solo un lugubre spreco di tempo. Vivo o sopravvivo, su un'amaca tesa tra due pali, ricoperta da una zanzariera e da una tenda che fa da tetto e mi lascia pensare che ho una casa. Ho una tavoletta su cui metto le mie cose, cioè il mio zaino con i miei abiti e la Bibbia, che è il mio unico lusso. È tutto pronto, così possiamo partire di corsa. Qui niente è di qualcuno, niente dura, l'unica costante sono l'incertezza e la precarietà. In qualunque momento, possono dare l'ordine di fare i bagagli, e ciascuno di noi deve dormire in fondo a qualunque buco, sdraiandosi ovunque, come gli animali. Per me sono momenti particolarmente difficili. Le mie mani diventano madide, il mio spirito si annebbia, finisco per fare qualunque cosa due volte più lenta del solito. Le marce sono un calvario, perché il mio equipaggiamento è molto pesante e riesco a portarlo a malapena. A volte i guerrilleros si prendono alcune delle mie cose per alleggerire il peso, ma mi lasciano «il vasellame», cioè quello che ci serve per lavarci e che pesa di più. È tutto così stressante, perdo le mie cose o me le confiscano, come i jeans che Mélanie mi aveva regalato per Natale, quelli che avevo addosso quando mi hanno presa. Non li ho più visti. L'unica cosa che sono riuscita a salvare è la giacca, ed è stata una benedizione, perché le notti sono gelide e non avevo nient'altro per proteggermi dal freddo. Prima, mi piaceva moltissimo fare il bagno nel fiume. Siccome sono l'unica donna del gruppo, ci devo andare quasi tutta vestita: calzoncini, camicia, stivali! Come le nostre nonne di una volta. Prima mi piaceva nuotare nel fiume, ma adesso non ho nemmeno più il fiato per farlo. Sono fiacca, freddolosa, sembro un gatto davanti all'acqua. Io che amavo l'acqua così tanto, non mi riconosco più. Durante la giornata avevo l'abitudine di fare un paio d'ore di ginnastica, a volte tre. Avevo inventato un attrezzo, una specie di banchetto fatto con dei rami, che avevo battezzato «step», pensando agli esercizi della palestra: l'idea era di salire e scendere, come se fosse stato uno scalino. Aveva un pregio, non occupava molto spazio. Perché a volte i campi sono così piccoli che i prigionieri si trovano in pratica gli uni sugli altri. Ma da quando hanno diviso i gruppi, non ho né la voglia né l'energia di fare niente. Faccio qualche stiramento, perché lo stress mi blocca il collo, che mi fa molto male. Con gli stiramenti, lo split e tutto il resto, a volte riesco a rilassare un po' il collo. Ecco tutte le mie attività, mamita. Faccio di tutto per restare silenziosa, parlo il meno possibile per evitare problemi. La presenza di una donna in un gruppo di uomini che sono prigionieri da otto o dieci anni è un problema. Ascolto RFI e la BBC, scrivo molto poco perché i quaderni si accumulano e trasportarli è un'autentica tortura: ho dovuto bruciarne almeno quattro. Inoltre, quando ci sono le ispezioni, ci prendono le cose a cui teniamo di più. Una tua lettera, che era riuscita a raggiungermi, mi è stata sequestrata dopo l'ultima prova di esistenza in vita, nel 2003. I disegni di Anastasia e di Stanis, le foto di Méla e Loli, lo scapolare di papà, un programma di governo in 190 punti che avevo annotato nel corso degli anni: mi hanno preso tutto. Ogni giorno mi resta un po' meno di me stessa.
di Ingrid Betancourt


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