Il principio oltre le polemiche
Perché l'obbligatorietà dell'azione penale non è più un dogma
A sfogliare i quotidiani in questi giorni, a leggere e ascoltare le dichiarazioni di politici, esperti e professori, l'impressione è che il tabù dell'obbligatorietà dell'azione penale sancita dalla Costituzione cominci a sentirsi vecchio. Che insomma polemiche e scontri su giustizia, magistratura, Cav. e processi stiano parallelamente creando un fronte comune trasversale pronto a ridiscutere quello che per molti è “un principio non applicabile”, per cui “l'uguaglianza di fronte alla legge” suona come formula retorica.
A sfogliare i quotidiani in questi giorni, a leggere e ascoltare le dichiarazioni di politici, esperti e professori, l'impressione è che il tabù dell'obbligatorietà dell'azione penale sancita dalla Costituzione cominci a sentirsi vecchio. Che insomma polemiche e scontri su giustizia, magistratura, Cav. e processi stiano parallelamente creando un fronte comune trasversale pronto a ridiscutere quello che per molti è “un principio non applicabile”, per cui “l'uguaglianza di fronte alla legge” suona come formula retorica. Non è un tema nuovo, questo, e in passato ha visto tra i suoi sostenitori anche nomi non certo vicini a Silvio Berlusconi, come il politologo Alessandro Pizzorno che definiva “una finzione” l'obbligatorietà dell'azione penale. Che oggi ci siano le premesse per un dibattito che porti a un cambiamento?
Per Luciano Violante “non ci sono tabernacoli intangibili, ma occorre capire dove si colloca il problema: molti lo ritengono un problema dell'ordinamento giudiziario, invece ha a che fare con il sistema politico. Su questo bisogna ragionare per discuterne in radice. Sappiamo tutti che è un'ipocrisia quella dell'obbligatorietà dell'azione penale, quindi ben venga un dibattito sul tema, ma senza che si abbia un processo alle spalle, senza interessi personali di mezzo e senza avere fretta di chiudere la partita”. Anche per Michele Vietti (Udc), “quello dell'obbligatorietà dell'azione penale è un simulacro: la moltiplicazione delle norme penali incriminatici e l'iniziativa dei singoli pm slegata da qualunque logica di coordinamento fanno sì che i reati da perseguire e quelli da far prescrivere siano scelti in base a criteri non trasparenti”. Per l'ex sottosegretario alla Giustizia, però, “discuterne in un clima di rissa finisce per farli accettare acriticamente o rifiutare pregiudizialmente”. Secondo Vietti, “un'ipotesi potrebbe essere quella di una sessione annuale del Parlamento sulla giustizia in cui, sentiti i procuratori delle Corti d'appello, i procuratori generali, il Csm e il ministro, si decidono una serie di priorità sull'esercizio dell'azione penale”.
Anche l'ex ministro della Giustizia Alfredo Biondi pensa che sia “un dogma da ridiscutere”, e aggiunge: “Oltre che obbligatoria occorrerebbe che l'azione penale fosse anonima”. Prima di toglierla del tutto, però, per l'ex senatore di Forza Italia bisognerebbe apportare due semplici cambiamenti: “L'obbligatorietà dell'azione penale deve essere regolata dal procuratore capo che, magari dopo un confronto con l'ordine degli avvocati, decide certe priorità piuttosto che altre, anche in base ai carichi di lavoro della procura, come ha fatto Maddalena a Torino, per esempio. Tutto questo ovviamente assieme alla separazione delle carriere oltre che delle funzioni dei magistrati”. Il senatore radicale del Pd Marco Perduca la definisce “un'anomalia tutta italiana che necessita una riforma, non palliativi da polemica quotidiana”. E' ottimista il senatore, che per settembre è tra gli organizzatori di un convegno internazionale proprio su questo tema: “Non mi sembra di avere visto chiusure significative: fatta eccezione per l'Italia dei valori, anche a sinistra mi pare ci sia lo spazio per far crescere un po' di movimento che porti a una discussione seria. L'importante è che se ne continui a parlare”.
E' pessimista lo storico Ernesto Galli Della Loggia, che in un editoriale di domenica scorsa sul Corriere metteva la degenerazione dell'obbligatorietà dell'azione penale da parte del pm in “totale arbitrio d'iniziativa del pm” come primo dei tre punti rivelatori della “patologia che affligge la giustizia italiana”. Dice infatti al Foglio che “è difficile che si apra un dibattito, perché sul tema dovrebbero essere i giuristi a esprimersi, ma essi sono ideologicamente prigionieri della loro militanza politica a sinistra; non c'è coraggio nei professori di Diritto penale e costituzionale”. Per l'editorialista del Corriere l'astio nei confronti di Berlusconi rovina tutto: “Non se ne farà nulla perché quella dei giuristi è una corporazione che si sente in dovere di sacrificare il proprio sapere alle ragioni della militanza politica”. Mario Cicala, esponente storico di Magistratura indipendente, sottolinea infine due problemi: “Oltre alla discrezionalità di celebrare i processi, vi è anche una discrezionalità del potere di indagine del magistrato che sceglie lui dove andare a cercare notizie di reato. Soltanto partendo da questa constatazione può iniziare un dibattito che farebbe abbandonare miti vuoti come quello dell'obbligatorietà dell'azione penale”.
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