"La Santanchè dovrà ballare ancora da sola"

"Mi metto nei panni della Russia"

Redazione

“Prudenza”, dice scandendo la parola il signor ministro della Difesa. Prudenza? “Grande prudenza”, risponde scandendo persino con maggior forza. Prudenza? “Estrema prudenza”. Chiaro. Ignazio La Russa – pur non logisticamente dislocato all'altro capo del pianeta come il ministro Frattini – ha seguito con attenzione (e apprensione) i fatti della guerra in Georgia.

    Roma. “Prudenza”, dice scandendo la parola il signor ministro della Difesa. Prudenza? “Grande prudenza”, risponde scandendo persino con maggior forza. Prudenza? “Estrema prudenza”. Chiaro. Ignazio La Russa – pur non logisticamente dislocato all'altro capo del pianeta come il ministro Frattini – ha seguito con attenzione (e apprensione) i fatti della guerra in Georgia. Il paese di Saakashvili preme per entrare nella Nato al più presto, a tenersi largo entro il 2009. E il ministro della Difesa italiano cosa ne pensa? Prudenza, appunto. E aggiunge: “In epoca non sospetta, e in particolare alla riunione dei ministri della Difesa della Nato, circa due mesi fa, e successivamente in un incontro con l'ambasciatore russo a Roma, ho sostenuto – fermo restando la praticabilità di un allargamento della Nato – che bisognasse operare con estrema prudenza”.

    E questo, per La Russa, significa una cosa abbastanza chiara (e abbastanza inconsueta, magari, per alcuni suoi colleghi governativi): “Bisogna mettersi anche nei panni della nuova Russia, che poi ha conservato un po' della mentalità e della cultura della Russia di sempre. E' vero che i missili che stanno mettendo servono a un'eventuale difesa nei confronti dell'Iran; ed è vero che parlare di allargamento alla Georgia vuol dire difendere la Georgia, o almeno così si diceva, da altri e non dalla Russia. Ma dal punto di vista dei russi, questo atteggiamento occidentale e della Nato può essere visto con grande sospetto. E personalmente, anche in altri tempi, ho sempre sostenuto che in casi del genere dovremmo coinvolgere il più possibile la Russia nelle decisioni. E in ogni modo, operare con gradualità e prudenza”. Attenzione, dice perciò il ministro italiano. “Ne sono convinto: grande prudenza. Perché io mi ci metto, nei panni della Russia. A prescindere dalla valutazione del comportamento dei russi di ora, che non apprezzo e non approvo, già da prima avevo provato a calarmi nei loro panni e ne comprendevo le ragioni”.

    Un altro fronte caldo – prima di arrivare a quello caldissimo della politica interna – per La Russa si trova in medio oriente. Ci sono alcune polemiche in corso. Il comandante del contingente Unifil, il generale Claudio Graziano, spiega che da quelle parti Hezbollah collabora con i Caschi blu, e che le uniche violazioni alla risoluzione dell'Onu avvengono da parte israeliana, con i jet sul Libano a volo radente. Cosa ne pensa il ministro della Difesa? “In occasione della mia visita al contingente in Libano, ho espresso pubblicamente il mio apprezzamento per il generale Graziano, perché ho ricevuto degli ottimi report, diciamo così, da parte di tutti: israeliani, americani, e tutti gli alleati. Credo però – e l'ho detto al capo di Stato Maggiore, generale Vincenzo Camporini, e per la prima e unica volta lo dico alla stampa – che in casi del genere i generali debbono comandare le truppe e parlare meno. Pure poco fa ho visto un'altra dichiarazione del genere, altrimenti, chissà, non avrei detto pubblicamente queste cose. Ma anche oggi il generale Graziano perde troppo tempo a spiegare alla stampa le sue buone ragioni, anziché fare quello che sa fare, l'ottimo comandante. Mah, si vede che non era ancora arrivato il mio cortese suggerimento…”.

    Un altro fronte, per i nostri militari, è quello afghano. Dicono, ora che è cambiata la maggioranza al governo, che l'Italia svolgerà un ruolo più di primo piano a fianco degli americani. Insomma, si farà un po' più di guerra… Anche qui, sul fronte estremo e più pericoloso, il ministro La Russa mostra cautela. “Non è che gli americani ci chiedono un ruolo più di primo piano, senza incertezze. Né penso che Prodi e D'Alema avessero personalmente incertezze nel sostenere l'intervento in Afghanistan. Erano gli alleati che, analizzando la situazione italiana, non potevano essere rassicurati sulla durata dell'impegno. Quello che è cambiato è il clima: maggiore fiducia tra noi e loro. E ciò comporta la possibilità di operare in più stretta sinergia, ma non c'è nessun accrescimento di rischio. Solo la capacità di fare con trasparenza le cose che facciamo, mentre prima era come se le nascondessimo: meno se ne parlava e meglio era. Insomma, maggiore possibilità di collaborazione: gli impegni che prendiamo non solo vogliamo mantenerli – ma questo forse valeva pure per D'Alema – ma possiamo mantenerli”.

    Se c'è un ministro contento del posto dove si trova (e ce ne sono parecchi, si capisce, ma mica tutti completamente soddisfatti), è proprio Ignazio La Russa. Che al suo debutto ministeriale è stato salutato – unico, finora, nella storia repubblicana – da un ironico e sfottente “Ignazio Jouer” dovuto al genio di Fiorello, dove si fanno raccomandazioni del tipo “gli anfibi vanno messi senza calze, a callo nudo”. “Divertente, elegante”, dice il ministro dell'elaborato dello showman. “Sulla falsariga del personaggio che ha creato su di me: non corrisponde al cento per cento ma è credibile, non è vero ma è verosimile. Fiorello è stato anche fortunato: mi avessero dato il ministero della Giustizia o delle Riforme, il personaggio gli funzionava parecchio di meno. Secondo me ha fatto una petizione a Berlusconi, che l'ha accettata”. Resta che a lei quel ministero di divise e gerarchie e militari vari piace proprio. Persino Mario Cervi, sul Giornale, l'accusa di “eccesso di Difesa”… Ridacchia divertito, La Russa: “Beh, ringrazio molto Cervi, di cuore. E' raro che un ministro venga accusato di fare molto, di solito l'accusa è di fare poco”.

    Però Ignazio a contatto con divise e caserme è già diventato, in appena cento giorni, un classico giornalistico. “Dal punto di vista personale, non sono un patito della gerarchia e della disciplina militare. Lo dimostrano le mie note caratteristiche quando ero ufficiale dell'esercito. Non erano pessime, ma poco ci mancava”. Lavativo? Indisciplinato? “Mi contestavano una certa insofferenza alla stretta disciplina di caserma, all'obbedienza senza discussione, alla gerarchia a tutti i costi. Inevitabile, lo capisco, ma si scontrava con il mio carattere un po' ribelle. Invece mi piacciono davvero, e per questo sono felice di fare il ministro della Difesa, i valori di cui le forze armate sono un presidio: l'orgoglio dell'identità nazionale, la difesa della sicurezza e della libertà, l'idea di nazione. Valori alla base di molti che hanno abbracciato la carriera militare. Quindi, la sintonia è totale”. E' per questo che, scomparsa la leva obbligatoria, ha avuto la pensata di lanciare la mini naja? “Mi sono battuto per il superamento del servizio di leva, ma l'effetto negativo può essere quello di tagliare ogni contatto tra i giovani e le forze armate. Perciò ho immaginato un mese all'anno, per chi vuole, di addestramento atletico, mentale e militare, con una bella iniezione di riferimenti culturali. Un mese di educazione alla disciplina, che non fa male ai giovani di oggi. E che prepari anche all'attività di servizio civile: lo sa che il volontariato che viene fatto dagli ex alpini è il più apprezzato di tutti?”.

    In questi pochi mesi a via XX Settembre, La Russa ha aperto un fronte polemico pure sulla rappresentazione che il cinema italiano ha dato nei decenni delle forze armate. E la libertà di espressione? “E chi la tocca, la libertà di espressione? La mia infatti è proprio una libertà d'espressione. C'erano i film di tanti registi di sinistra che dipingevano i nostri soldati come fannulloni o come guerrafondai. O sennò, quelli della cosiddetta commedia all'italiana dove erano tutti maniaci del sesso”. Beh, è andata… “Mica tanto. La novità è che è completamente mutata la percezione che gli italiani hanno delle loro forze armate, del loro esercito, e delle divise tutte, dai Carabinieri ai Finanzieri, e ci metto anche la Polizia. Fino a poco tempo fa quello in divisa era il guerrafondaio, l'oppressore, il violento. Era la cultura dominante. Adesso, culturalmente, abbiamo fatto cappotto. Se prima dovevi immaginare la pace pensavi alle bandiere colorate, anche con tanta gente in buona fede che sfilava sotto di esse, oggi vengono in mente i soldati che fanno le missioni all'estero. Se pensavi alla sicurezza, subito il pensiero andava alla fratellanza e alla solidarietà, ottime cose, per carità, ma adesso anche agli uomini e alle donne in divisa che fanno rispettare la legge. Grazie a Dio, una certa fase è passata”. Ma i film ci sono, e molti sono nella storia del cinema. “Ma ce ne sono anche altri. Sto cercando di recuperare qualcosa. Ho chiesto a un critico cinematografico, Maurizio Cabona, di aiutarmi a dar vita a una rassegna di film sulle forze armate negli anni Cinquanta, quando entrammo nella Nato. Quel periodo lì fu diverso, prima del tentativo culturale, purtroppo riuscito, di dipingere gli uomini in divisa in un certo modo. Spero di riuscire a inaugurare questa mostra cinematografica a Roma in coincidenza con il prossimo 4 novembre, festa delle Forze armate”.

    Ministro La Russa, in questa fase, con Fini presidente della Camera, lei è, diciamo così, il reggente di An. Nei giorni scorsi, ha fatto due dichiarazioni che apparivano in contrasto. In una diceva che Fini è il leader naturale, in un'altra che il leader è Berlusconi. “Niente contraddizioni. I titoli, tutt'al più. In entrambe le dichiarazioni sostenevo che il leader è Berlusconi, e che ora non c'è un problema di leadership. E' lo stesso, non c'è dubbio che, quando sarà, il leader naturale sarà Fini. Ma parlarne – proprio perché è il leader naturale – è un errore che crea solo confusione”. Voi giurate che la strada verso il nuovo partito unitario è tutta in discesa, ma qualche dubbio c'è. Si sono accese polemiche intorno a quelle quote di ripartizione degli incarichi futuri: il 70 per cento a FI, il 30 per cento ad An. “Qualche piccola polemica nel partito da parte di chi ricerca un ruolo. Se in questo si manifesta un'unanimità esagerata è inevitabile che qualcuno cerchi di assolvere al compito di dire: non sono d'accordo. Succederà di sicuro. Ma il rapporto tra noi e FI è costante dal '94, e sono stati i nostri militanti, con la famosa manifestazione del 2 dicembre, quando hanno mischiato le loro bandiere, a chiederci un simile passo. E inoltre, alle elezioni politiche, per la prima volta nella storia d'Italia la somma complessiva dei voti a una lista composta da più partiti, come quella del Pdl, era superiore a quella dei partiti stessi”.

    Ma i rapporti restano sempre 70 a 30 per Berlusconi… “Volendo, non ci vuole molto a capire che questo è solo il dato nazionale. Poi va adeguato città per città, regione per regione. Per An, è un rapporto leggermente migliore rispetto a quello che abbiamo oggi in Parlamento, dove siamo al 28 per cento. Nel 70 per cento di Berlusconi c'è l'incidenza degli alleati più piccoli: siccome tutti si rivolgono a lui, lui ha il dovere di mostrarsi generoso. E abbiamo scovato questa formula, così che possa mostrare tutta la sua generosità: non tanto quantitativa, quanto qualitativa. E poi i pesi si mischiano, e fra un anno nessuno si ricorderà da quale condizione era partito”.

    Dentro An, con Fini a Montecitorio, tutto tranquillo? O tra i colonnelli c'è sempre tensione? “Una grande sintonia. Non solo tra me e Gasparri, cosa ormai notissima, ma anche con i ministri Ronchi e Meloni, ovviamente Matteoli, con il sindaco di Roma Alemanno. Non solo ho la fiducia di Fini, e Fini sa di poter contare sempre e comunque sulla mia lealtà e sulla mia amicizia, ma ho ricevuto da lui un partito unito come non mai. Stamane ho già sentito, nonostante le vacanze, il ministro Matteoli e Gasparri. E Alemanno…”. Ecco: qualche perplessità ogni tanto l'avanza, un po' inquieto… “Alemanno quando deve dire qualcosa chiama. Tra lui e Gasparri in questi mesi c'è stata qualche incomprensione, poi Gasparri è andato a trovarlo a mezzanotte in Campidoglio, e sono stati a discutere fino alle due e mezza del mattino. Poi, insieme mi hanno telefonato per dirmi che avevano risolto il loro piccolo problemino. Una volta certe cose si trascinavano per anni”.

    Le brucia ancora l'accusa di Famiglia cristiana di risorgente fascismo in Italia? “A me veramente non mi ha offeso, mi ha fatto fare una bella risata. Quando poi mi hanno detto che l'accusa veniva da un prete in vacanza al sole di Marettimo, ho proprio sghignazzato. La prova provata che questa storia del fascismo è una bufala sta proprio nel fatto che non solo lui dice queste cose, ma che sciocchezze del genere – così fuori dai tempi della storia e così indietro rispetto alle lancette dell'orologio – in Italia fortunatamente si possono dire senza nessuna conseguenza, né politica né personale. Più risposta netta di questa, che si può dire?”.

    C'è un tema – tra la politica e anche un certo colore giornalistico – che un po' la riguarda, ministro: il ritorno o meno, nel Pdl di Daniela Santanchè, dopo la rottura con An e la scelta della Destra di Storace. E la storia la riguarda perché fu proprio lei, anni fa, a portare la Santanchè all'impegno politico. Dunque: vuol tornare, annuncia che forse tornerà, dice che si sta discutendo… Ignazio La Russa, onestamente: cosa ne pensa? “Ho mantenuto un buon ricordo della fase di crescita politica di Daniela. L'ho fatta cominciare con grande gradualità, ha iniziato come consulente di un assessore provinciale di An, poi è stata candidata lei stessa alla provincia, collegio facile, ma l'ha conquistato. Poi è stata messa in lista per il Parlamento dietro Viviana Beccalossi, ed è entrata a Montecitorio anche perché Viviana le ha lasciato il posto. Quindi ha fatto il relatore per la Legge finanziaria: merito suo ma anche merito nostro, del partito, che questa cosa ha consentito. Poi è stata nominata capo delle donne, e forse lì la crescita ha cominciato ad andare in una direzione non proprio giusta, anzi sbagliata…”. E perché mai? “Perché proprio lì Daniela ha cominciato a pensare di poter ballare da sola”. E l'ha fatto, anche con parecchia grinta… “Già, è uscita dal partito per andare con Storace. Neanche subito, solo in seguito. Io a quel punto ho interrotto la frequentazione, non l'amicizia. Se voleva ballare da sola, facesse…”. Ma adesso potrebbe tornare. La voce di La Russa si fa più dura. “Ma questo è un dibattito surreale! Torno, non torno, forse torno, entro nel Pdl, arrivo… Ma di cosa stiamo parlando? Per entrare in una casa, bisogna che qualcuno apra la porta e al momento non c'è nessuno disposto ad aprirla, quella porta. Nessuno. E' solo un dibattito sui media, del resto Daniela è bravissima nei suoi rapporti con la stampa. Credo che invece dovrà ballare ancora da sola. Perciò, il dibattito se entrare o non entrare non ha alcun senso. Nessuno apre la porta, che resta sbarrata. E perché venga aperta, è necessaria l'accettazione del cento per cento di tutti gli attuali abitanti…”.

    Neanche a Casini potreste riaprire quella porta? “Casini è un caso diverso, non è uscito in maniera così traumatica. Ha fatto una scelta autonoma, dice. E io sono d'accordo con Lorenzo Cesa, quando sostiene che per ora, e chissà per quanto tempo, non c'è nessuna possibilità di accordo tra noi e l'Udc. Ecco, i casi della vita: mi succede pure di pensarla come Cesa…”.