L'Alitalia s'è desta

Redazione

“L'Alitalia è un esempio del nazionalismo economico del governo italiano”, sostiene l'Economist. Ma l'Alitalia controllata dallo stato non ci sarà più: l'erede sarà Cai (Compagnia aerea italiana) che non vedrà la presenza di alcun socio pubblico, bensì di sedici imprenditori italiani. La cordata italiana, insomma, è rimasta unita e darà vita a Cai.

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    L'Alitalia è un esempio del nazionalismo economico del governo italiano”, sostiene l'Economist. Ma l'Alitalia controllata dallo stato non ci sarà più: l'erede sarà Cai (Compagnia aerea italiana) che non vedrà la presenza di alcun socio pubblico, bensì di sedici imprenditori italiani. La cordata italiana, insomma, è rimasta unita e darà vita a Cai. Piuttosto un socio parapubblico ci sarà, ma sarà straniero se in Cai entrerà Air France, con una quota che non sarà superiore al 25 per cento. Il governo francese detiene il 15,7 per cento della compagnia presieduta da Jean-Cyrill Spinetta. L'azione di player svolto da Intesa con il beneplacito dell'esecutivo è andata a segno. Ieri c'è stato l'accordo con i sindacati confederali, compresa la Cgil, e si lavora per il sì di piloti e assistenti di volo, anche grazie a un nota aggiuntiva.

    L'integrazione dell'intesa Cai-sindacati salva dalle riduzioni i salari più bassi, quelli del personale di terra, e garantisce una riserva per i precari che avranno la precedenza in caso di ricorso a contratti a termine. Ora si apre la partita per il partner. In prima fila sembra Air France, ma Lufthansa e British Airways possono ancora affacciarsi. Nel frattempo per gli slot che saranno lasciati liberi da Alitalia, qualora fosse interrotta la licenza, è arrivata “una valanga di domande”, hanno riferito dall'Enac. Nel “nazionalismo economico” biasimato dal settimanale inglese potrebbe rientrare anche la partita Telecom. L'accusa è valida se si considera che la volontà degli spagnoli di Telefonica di aver un maggior peso nella compagnia telefonica è stata tarpata. Nel giro d'orizzonte istituzional-politico avuto a Roma dal numero uno del gruppo iberico, César Alierta, gli spagnoli hanno ricevuto un segnale non equivoco: Telecom resterà a controllo italiano. Una posizione che, unita con la nomina nel cda di Mediobanca (socio forte di Telco che controlla Telecom col 24,5 per cento) di Marina Berlusconi, ha fatto gridare al segretario del Pd, Walter Veltroni, alla formazione di un blocco di potere inimmaginabile.

    Tra l'altro nell'entourage di Veltroni il silenzio su questi temi da parte dell'ex premier Massimo D'Alema, che oltretutto sul caso Alitalia ha avuto parole di critica all'intransigenza di Guglielmo Epifani, ha fatto nascere qualcosa più di un sospetto: un idem sentire Berlusconi-D'Alema che vede nella centralità banco-finanziaria di Cesare Geronzi una personalità non ostile. Inoltre dopo il rafforzamento di Geronzi in Mediobanca per l'abbandono da parte della banca d'affari della governance duale ci potrebbe essere un “secondo tempo”, spesso pronosticato ma finora non realizzato: il disimpegno di Unicredit da Mediobanca e il subentro di altri azionisti istituzionali, come le fondazioni Cariplo e Crt. Replicando così, nello storico “fondo sovrano” del capitalismo italiano, ossia Mediobanca, una sorta di “modello Alitalia”, con ricaschi su Generali.

    L'accusa di nazionalismo economico nel caso di Telecom, però, è superata se si considerano le operazioni straordinarie all'orizzonte nella società capeggiata da Franco Bernabè: non solo scorporo della rete fissa, che non sembra imminente, ma anche un aumento di capitale con l'ingresso di nuovi soci, tra cui il fondo sovrano della Jamahirya, Libyan Investment Authority. Ieri il cda della società ha preso atto di alcune manifestazioni di interesse, non sollecitate dall'azienda, ha fatto notare il gruppo telefonico. Al coinvolgimento del nuovo azionista avrebbe contribuito, tra gli altri, il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar.Il probabile ingresso del fondo sovrano libico è collegato, da alcuni osservatori, con il recente accordo tra l'Italia e Muhammar Gheddafi, anche se nulla di ciò compare nell'intesa con cui il governo italiano si è impegnato a versare allo stato arabo 250 milioni di dollari l'anno per il prossimo ventennio. L'intesa, onerosa per l'Italia, avrà degli effetti, non ancora del tutto noti, per le società private o partecipate dal Tesoro, si sottolinea in ambienti governativi.

    A Finmeccanica, che ha siglato diversi accordi con Tripoli tramite Agusta Westland, nei giorni scorsi è stato affidato un progetto, previsto dall'intesa Berlusconi-Gheddafi, per realizzare un sistema di protezione dei confini a sud della Libia che coinvolgerà la controllata Selex (radar). Oltre ai rapporti consolidati e che saranno rafforzati in campo petrolifero, con in prima linea l'Eni, prospettive a breve si apriranno per le imprese italiane nelle infrastrutture. Onnipresenza del premier? I dossier, ieri, il Cav. li ha seguiti dal centro benessere Messegué di Melezzole Toscolano. Chissà, avrà letto pure l'Economist?

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