Governo contro militari

Il Pakistan fa la guerra a se stesso per evitare di farla contro l'India

Redazione

Il Pakistan sa che l'India è nella condizione di chi ha ricevuto un'offesa mortale ed è pronta alla guerra con le vene del collo gonfie dall'ira, e che ha già stabilito con un ultimo barlume di lucidità di trattenersi. Per ora. L'aviazione indiana è ancora in stato di “difesa aerea passiva”: tutti gli aerei militari sono stati armati con missili o bombe sotto le ali e sono pronti a decollare in pochi minuti.

    Islamabad. Il Pakistan sa che l'India è nella condizione di chi ha ricevuto un'offesa mortale ed è pronta alla guerra con le vene del collo gonfie dall'ira, e che ha già stabilito con un ultimo barlume di lucidità di trattenersi. Per ora. L'aviazione indiana è ancora in stato di “difesa aerea passiva”: tutti gli aerei militari sono stati armati con missili o bombe sotto le ali e sono pronti a decollare in pochi minuti. Ma il primo ministro Manmohan Singh – forse rasserenato perché il suo partito ha vinto tre stati su cinque nelle elezioni locali di martedì nonostante le lacune enormi dimostrate dai servizi di sicurezza durante le 62 ore dell'attacco a Mumbai – dà ascolto alla linea degli americani: “Niente guerra, vediamo che cosa riusciamo a ottenere”. Il ministro degli Esteri indiano, Pranab Mukherjee, ha detto che un conflitto “non è la soluzione”. Non per questo il governo indiano ringhia meno forte. “Il Pakistan è l'epicentro del terrorismo – dice il premier Singh – ora la comunità internazionale deve agire in modo duro ed efficace”.
    Resta da vedere che cosa sarà capace di fare il governo civile di Islamabad contro il volere del proprio establishment militare, sordamente e ferocemente anti indiano. Mercoledì sera il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato la Jamaat ud Dawa “organizzazione terrorista”. L'associazione funziona come una Hezbollah del Kashmir. Non è soltanto la copertura politica per il suo braccio armato, i terroristi di Lashkar e Taiba, ma è anche un'associazione benefica e istituzionale (durante il terremoto nel Kashmir del 2005 fu molto più pronta ed efficiente del governo nei soccorsi). La dichiarazione Onu è un aiuto provvidenziale per il governo civile, perché gli consente di agire con la copertura della Risoluzione Onu 1267, conosciuta anche come “Sanzioni contro al Qaida e i talebani”. Ora può congelare gli asset finanziari del gruppo, impedire ai suoi membri di viaggiare e vietare la fornitura di armi, tecnologia e altri aiuti. La Cina, che in passato aveva bloccato la dichiarazione contro Jamaat ud Dawa ben tre volte – guardava con benevolenza al gruppo armato anti indiano – questa volta ha votato all'unanimità con i membri del Consiglio di sicurezza; ha capito che il presidente Alì Asif Zardari aveva bisogno di legittimazione sovranazionale.

    Contro Lashkar e Taiba il governo pachistano prova a soddisfare le richieste indiane, ma l'effetto è stato finora patetico. Islamabad ha già detto di non poter estradare i terroristi chiesti dall'India. Ha fatto piombare gli elicotteri su Shawai, ma i campi d'addestramento di LeT erano vuoti, grazie a soffiate dei militari. Ha preso Zakiur Rahman, il comandante in capo: o meglio, lui, che vive nella capitale in un residence datogli dai servizi segreti, si è consegnato senza battere ciglio. Imbarazzante. L'esercito ha anche “arrestato” il grande ideologo del gruppo terrorista, Hafiz Saeed: i soldati hanno circondato la sua casa, dove deve restare confinato “per i prossimi tre mesi”.

    Contro Jamaat ud Dawa, il governo ha invece battuto i militari. Ha fatto chiudere gli uffici dell'associazione dalla polizia, senza chiamare i soldati o i servizi, e ha fatto congelare i conti dalla Banca di stato. Una vittoria minima. L'India chiede molto di più.