Livni si concentra troppo sul rivale Netanyahu e non vede il pericolo alle spalle, dentro Kadima

Redazione

L'ossessione di Tzipi Livni si chiama Benjamin Netanyahu, racconta Eretz Nehederet, Nazione meravigliosa, il programma di satira politica che la sera tiene incollati agli schermi della televisione gli israeliani, a pochi giorni dalle elezioni del 10 febbraio.

    L'ossessione di Tzipi Livni si chiama Benjamin Netanyahu, racconta Eretz Nehederet, Nazione meravigliosa, il programma di satira politica che la sera tiene incollati agli schermi della televisione gli israeliani, a pochi giorni dalle elezioni del 10 febbraio. “Bibi ha detto, Bibi ha fatto, Bibi non farà…”, dice muovendosi a scatti l'imitatrice del ministro degli Esteri, in un tailleur nero due taglie più grande, ai piedi enormi scarponi scuri molto poco femminili. Netanyahu è il re nei sondaggi; Livni, il premier che tutti aspettano da anni ma non arriva mai: anche questa volta potrebbe perdere la poltrona. C'è chi sostiene all'interno del suo stesso partito, il centro di Kadima, che non dovrebbe preoccuparsi soltanto del rivale del Likud. Le seconde file del suo stesso movimento scalpitano e indiscrezioni riprese dai giornali israeliani raccontano un malessere interno al partito: deputati insoddisfatti di aver votato alle recenti primarie la signora dei sobborghi bene di Tel Aviv, con un breve passato nel Mossad ma poche credenziali sulla sicurezza, invece del suo antagonista, il ministro dei Trasporti, ex capo di Stato maggiore: “Non ho dubbi: Shaul Mofaz avrebbe portato risultati migliori a Kadima – ha detto recentemente Yuval Zellner, attivista del partito e numero 34 sulla lista – Tzipi è una brava persona e un candidato adatto, ma il pubblico avrebbe preferito Mofaz non soltanto a causa di Gaza ma anche per via della minaccia nucleare iraniana”. Una voce anonima interna a Kadima ha detto al Jerusalem Post che se Mofaz avesse ottenuto la leadership avrebbe subito formato un governo, riferendosi al fallito tentativo di Livni di creare un esecutivo dopo l'annuncio di dimissioni del premier Ehud Olmert e la vittoria alle primarie.

    Molti dentro il movimento, demoralizzati dagli esiti degli ultimi sondaggi che danno il Likud in vantaggio, la pensano come Netanyahu, che ha fatto tappezzare le città israeliane di cartelloni neri con la foto di Livni: “Non è all'altezza” (della sfida), è scritto in grossi caratteri bianchi. Ehud Barak, ministro della Difesa ha le prestigiose credenziali di guerriero e capo militare; Netanyahu si presenta come l'uomo forte del paese, pronto a usare le maniere dure contro i molti nemici di Israele: l'Iran atomico, le milizie sciite di Hezbollah nel sud del Libano, i palestinesi di Hamas nella Striscia di Gaza. I due insistono nel mettere in luce la debolezza della rivale nel settore della sicurezza rafforzando così la cordata interna a Kadima che vede in Shaul Mofaz l'uomo giusto per combattere alle urne dopo la campagna militare nella Striscia. All'inizio dell'operazione Piombo fuso a Gaza, il 28 dicembre, un sondaggio di Channel 2 dava al partito di centro 28 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano. Il 18 gennaio erano scesi a 22. Dopo il cessate il fuoco unilaterale erano risaliti a 25, per crollare poi di nuovo a 22. Il Likud è rimasto stabile a 31 per l'intera durata dell'operazione contro Hamas.

    Con l'oscillare dei numeri, il malcontento in Kadima si è rafforzato: il direttore generale del partito, l'ex deputato Avigdor Yitzhaki è tornato al Likud. Lo stesso hanno fatto Meir Mitzan, ex sindaco di Rishon Letzion, cittadina a pochi chilometri da Tel Aviv, e perfino il fratello di Tzipi Livni, Eli, che secondo Channel 2 avrebbe detto che “il lavoro di primo ministro è troppo grande per lei”. Yitzhaki era stato incaricato da Ariel Sharon di lavorare in segreto nel 2005 per la formazione di Kadima. Alle primarie ha votato Livni e il quotidiano Haaretz rivela che in realtà potrebbe essersela presa per non aver ricevuto un ruolo importante nei recenti negoziati per la formazione di un governo. Lui sostiene che “Kadima non ha portato avanti la visione di Sharon”, che “Livni non ha esperienza” e “Netanyahu è il minore dei mali”.
    I 431 voti di scarto con cui Tzipi ha strappato al collega Mofaz la leadership del partito non le danno oggi, con i sondaggi contrari, la forza necessaria a mantenere saldo il potere interno e c'è chi ventila, in caso di sconfitta, l'ipotesi di uno scisma interno guidato dal ministro dei Trasporti, ancora scottato dalla fallimento. “Ha sentito che il primo posto gli era stato rubato – dice al Foglio Gideon Doron, esperto israeliano di politica  – lui e il suo gruppo rappresentano un campo alternativo all'interno di Kadima e dicono apertamente che se Livni non vincerà prenderanno il potere nel partito oppure lasceranno il movimento per tornare nel Likud”.

    Lo sa bene Livni, che il giorno della vittoria alle primarie ha festeggiato anche un secondo successo: ai primi posti della lista di Kadima, infatti, ci sono i suoi uomini e non i fedelissimi di Mofaz che sono a numeri più bassi. Quel giorno Livni si è presentata sul palco nel momento dell'euforia post voto con Dalia Itzik, numero tre oggi, e ha lasciato il suo rivale sconfitto attendere in basso oltre cinque minuti prima di invitarlo a salire davanti al pubblico. Livni sa anche che esiste da tempo nel suo partito una minaccia di frattura, il pericolo che alcuni deputati seguano Mofaz in un possibile ritorno alla casa madre, il Likud, da cui il politico si staccò nel 2005 quando in molti, come lui, seguirono Ariel Sharon nell'avventura del disimpegno dalla Striscia di Gaza. Tzipi compresa. Ma i fedelissimi sono in basso, e per questo oggi Livni può ancora sperare nei numeri: Othniel Schneller è al 27° posto, il consigliere politico di Mofaz, Avi Duan al 33imo, il manager della campagna alle primarie Zellner al 34°.

    La candidata può anche sperare nell'inesattezza che spesso contraddistingue i sondaggi in medio oriente, nonostante il Likud continui a volare alto. Paradossalmente la salvezza per Tzipi Livni potrebbe arrivare proprio dalla sua ossessione: “Bibi”. Chiunque vinca queste elezioni ha bisogno di 61 seggi su 120 per governare. Il favorito Netanyahu avrebbe dunque bisogno di alleati per formare una coalizione e, spiega al Foglio Peter Medding, professore di Scienze politiche all'università ebraica di Gerusalemme, potrebbe volere proprio Kadima e i laburisti di Avoda, non soltanto il gruppo di destra di Avidgor Lieberman, Yisrael Beitenu, e i religiosi di Shas. L'obiettivo: spostare verso il centro una compagine che sarebbe altrimenti marcatamente a destra. In questo caso “se Livni diventasse un ministro di peso non vedo nessuno nel suo partito capace di sfidarla. Ci sono molti esempi di ritorni nella politica israeliana e i primi sono proprio i suoi due rivali: Barak e Netanyahu”.