Leggete il programma di Yvette, è un laico molto pragmatico
Avigdor Lieberman, che ha nelle mani i numeri per decidere chi sarà re in Israele tra Benjamin Netanyahu e Tzipi Livni, non è nuovo in politica, nonostante sia considerato la sorpresa di queste elezioni. I suoi sostenitori descrivono il leader di Yisrael Beitenu, moldavo di nascita, come un “duro”. I suoi detrattori pensano sia un razzista.
Avigdor Lieberman, che ha nelle mani i numeri per decidere chi sarà re in Israele tra Benjamin Netanyahu e Tzipi Livni, non è nuovo in politica, nonostante sia considerato la sorpresa di queste elezioni. I suoi sostenitori descrivono il leader di Yisrael Beitenu, moldavo di nascita, come un “duro”. I suoi detrattori pensano sia un razzista. Ha fatto campagna portando in giro per il paese uno slogan neppure troppo velatamente anti arabo: “Nessuna cittadinanza senza lealtà”. Il suo programma vuole che le minoranze d'Israele firmino un giuramento di fedeltà alla nazione. Non si oppone alla soluzione a due stati, ma ne propone una controversa variante che ha fatto sollevare gli arabi e molti elettori israeliani anche di destra: uno scambio di territori con trasferimento di popolazione per mantenere Israele stato ebraico. Ha chiesto la pena di morte per i deputati arabo-israeliani che incontrano membri del movimento islamista Hamas.
Si è opposto senza mezzi termini al ritiro dalla Striscia di Gaza nel 2005. Al principale alleato regionale di Israele, il rais egiziano Hosni Mubarak, ha detto di “andare all'inferno”. E' stato paragonato dalla stampa internazionale a Jörg Haider o a Jean-Marie Le Pen e i titoli dei giornali nei giorni immediatamente prima del voto, in Israele e soprattutto all'estero, hanno dichiarato la preoccupazione per l'ascesa di un politico della destra radicale, capace di mettere definitivamente fine al processo di pace. Ha anche problemi con la giustizia (un'accusa per riciclaggio).
Ora, grazie all'appoggio dell'elettorato russo ma anche di gran parte della destra che un tempo avrebbe votato Likud, Lieberman ha conquistato 16 seggi alla Knesset, il Parlamento israeliano, scalzando i laburisti di Avoda, crollati al quarto posto nella lista nazionale.
Lo corteggia Tzipi Livni, lo cerca Netanyahu, i due candidati auto-proclamatisi vincitori di elezioni ancora incerte. E mentre lui apre le porte al dialogo anche con Kadima, facendo intravedere la possibilità di sedere in coalizione con un partito che parla di concessioni territoriali ai palestinesi, c'è chi non esclude che la politica di tutti i giorni possa domare il radicalismo del moldavo, ricordano il resto del programma elettorale di Yisrael Beitenu, quello che ha interessato di meno i mass media avidi di titoli: Lieberman fa imbestialire la destra nazionalista e religiosa perché vuole la separazione tra sinagoga e stato; perché chiede la fine del monopolio ultra ortodosso sulle questioni religiose; perché propone l'introduzione del matrimonio civile. Piace perché parla di una riforma elettorale capace di portare il governo del paese a una maggiore stabilità.
Per il professor Shmuel Sandler, dell'università Bar-Ilan, Lieberman “è un politico furbo che sa come sfruttare le paure e le emozioni dell'elettorato e tramutarle in voti. Parte della leadership politica arabo israeliana sostiene Hamas ed era contro l'ultima operazione a Gaza. E lui ha fatto leva su questo per guadagnare voti. Tuttavia, è un pragmatico e può sedere in una colazione che parla di negoziati con i palestinesi. Sarebbe pronto ad andare con Livni. E' uno stratega”. “Un partito utile, pragmatico, non c'è da preoccuparsi” – aveva detto al Foglio il candidato di Yisrael Beitenu Danny Ayalon, ambasciatore a Washington.
Oggi il giovane movimento Yisrael Beitenu è il terzo partito israeliano, ma il suo leader non è una matricola. “Ha una lunga carriera politica alle spalle – spiega Zeev Hanin – esperto di partiti politici nati dall'immigrazione – è stato dal 1996 al 1997 il direttore generale dell'ufficio dell'allora premier Netanyahu dimostrandosi sempre pragmatico, alla ricerca del compromesso”. La sua retorica, spiega Hanin, è sicuramente radicale: “Una tattica elettorale per nascondere posizioni più moderate mantenendo l'appoggio di un vasto elettorato di destra: appartenenza, identità, lealtà al paese, sono parole che la maggioranza degli israeliani oggi è pronta a comprare e la sua posizione anti Hamas, non scordiamocelo, è tacitamente avallata perfino da alcuni regimi arabi moderati”.
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