Incontro con Clinton

Frattini prepara due dossier per la trattativa con l'Iran

Redazione

Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha incontrato al Dipartimento di stato a Washington il segretario Hillary Clinton. Sul tavolo il dossier con precedenza assoluta per l'Amministrazione Obama: il nuovo piano di stabilità per la regione Afghanistan-Pakistan, Afpak, su cui la Casa Bianca ha appena investito altri 17 mila soldati. Del piano fanno anche parte le iniziative diplomatiche per convincere i paesi confinanti con l'Afghanistan a collaborare.

    Washington. Ieri il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha incontrato al Dipartimento di stato a Washington il segretario Hillary Clinton. Sul tavolo il dossier con precedenza assoluta per l'Amministrazione Obama: il nuovo piano di stabilità per la regione Afghanistan-Pakistan, Afpak, su cui la Casa Bianca ha appena investito altri 17 mila soldati. Del piano fanno anche parte le iniziative diplomatiche per convincere i paesi confinanti con l'Afghanistan a collaborare.

    L'Italia si sta occupando di una delle mosse più delicate: l'apertura cauta verso l'Iran, che molti osservatori si aspettano anche da Washington. Frattini vuole la partecipazione dell'Iran al terzo giorno del vertice G8 allargato a 25 paesi di Trieste sulla questione Afpak, a giugno. L'Iran ha risposto invitando Frattini a Teheran, in una data ancora da fissare, “entro marzo”. Secondo fonti della Farnesina, il ministro italiano – che giovedì ha incontrato il rappresentante speciale per l'area, Richard Holbrooke – ha già sentito al telefono il suo omologo iraniano, Manoucher Mottaki. Le fonti descrivono la reazione iraniana: molto favorevole, “anche oltre ogni necessità”.

    Gli iraniani possono collaborare al piano di stabilità almeno in due campi. Il primo è la lotta al traffico di droga, che dall'Afghanistan e poi attraverso l'Iran raggiunge i mercati mondiali e finanzia la guerriglia talebana. Il secondo è l'opera di persuasione e convincimento dei clan afghani, per portarli dalla parte del governo e della Coalizione, come è successo in Iraq. Teheran investe nel paese accanto, soprattutto commerci e costruzione di infrastrutture, e dall'alto di questi investimenti può aspettarsi più collaborazione. La zona di Afghanistan in cui operano i soldati italiani, a Farah e Herat, condivide un confine di 800 chilometri con Teheran, e l'influenza degli iraniani potrebbe essere decisiva per migliorare la situazione: negli ultimi due mesi gli attacchi sono cresciuti del 50 per cento. Forse si può anche parlare, come ha fatto il comandante americano della Nato a Bruxelles, di una rotta iraniana di rifornimento per le truppe dell'Alleanza, meno rischiosa di quella che passa per il Pakistan. Ma la Farnesina è chiara su un punto: la ricerca di collaborazione con l'Iran è circoscritta alla questione Afpak, e condizionata dalla questione nucleare: la lealtà al programma di sanzioni non si discute.

    Prove di destabilizzazione nel Golfo

    L'Iran ha la capacità di condizionare i paesi vicini, ma per ora la usa con pessime intenzioni. Le manifestazioni di protesta di alcune centinaia di sciiti nella città saudita di Qatif e in altre località orientali della penisola – di cui dà notizia il giornale di Dubai Gulf News – segnalano la ripresa di un'attività di destabilizzazione dei regimi del Golfo da parte di elementi iraniani, centrata sul contrasto tra regimi sunniti e minoranze (o addirittura maggioranze, come nel caso del Bahrein) sciite. Il tutto, come denunciano molti emirati del Golfo, nella prospettiva di fondare ovunque movimenti tipo Hezbollah e destabilizzare i regimi, nella prospettiva di un'esportazione della rivoluzione sciita non più soltanto nell'area libanese-mediterranea, ma anche a ridosso dell'Arabia Saudita.

    Il 23 febbraio alla Medina un gruppo di pellegrini sciiti si è scontrato con la polizia religiosa nei pressi della moschea di Maometto e del cimitero di al Baqi. La scintilla ha innescato proteste nelle regioni in cui vive la minoranza sciita, vessata ed emarginata dal regime saudita. Nei giorni scorsi, ai gravi incidenti di piazza tra dimostranti sciiti e la polizia del Bahrein, sono seguiti gli arresti di 35 sciiti accusati di “attività terroristiche”. L'evidenza di una regia iraniana – quantomeno di una componente oltranzista del regime di Teheran – dietro a queste tensioni è emersa quando l'ayatollah Ali Natek Nuri, uno dei più stretti collaboratori dell'ayatollah Khamenei, ha dichiarato che il Bahrein è in realtà “una provincia iraniana”. Una provocazione inequivocabile. Il Bahrein per ora ha vietato l'attracco alle navi iraniane e ha interrotto le trattative per la cooperazione nel campo metanifero. Le palesi mire annessionistiche dell'ayatollah Nuri e degli oltranzisti iraniani danno corpo alle denunce del settembre del 2008 di Abdel al Muwad, parlamentare del Bahrein, e di Nasser al Duwailah, deputato del Kuwait: “Varie reti di spie iraniane operano nei paesi del Golfo per destabilizzarli e attentare alla loro sicurezza nazionale. Non ci sono dubbi che tali reti saranno usate per destabilizzare il Golfo in caso di guerra”.