La risposta israeliana

Che cosa sta davvero succedendo tra Obama e Netanyahu? Giallo

Redazione

Agenda fitta, quella di Barak a Washington: l'ex generale ha incontrato gli uomini più influenti dell'Amministrazione americana per tutto quello che preoccupa Israele. Il vicepresidente Joe Biden, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jim Jones, il segretario alla Difesa Robert Gates e il senatore George Mitchell, inviato speciale per il medio oriente. Violando i protocolli diplomatici, all'incontro con il consigliere Jones s'è unito anche per venti minuti lo stesso presidente.

    Ieri il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha pubblicato una smentita interessante. Titolo: “L'Amministrazione Obama non sta cercando di rovesciare il governo di Benjamin Netanyahu” (che è invece l'intento attribuito al presidente americano dal decano degli intellettuali neoconservatori americani, Norman Podhoretz, intervistato sul Foglio di sabato 6 giugno). L'articolo di Yedioth Ahronoth racconta che la settimana scorsa – alla vigilia del discorso cairota di Barack Obama – i membri più alti in grado dell'Amministrazione hanno dato le loro rassicurazioni, ma dice anche che il destinatario di queste rassicurazioni non è stato il primo ministro israeliano, che forse più ne avrebbe avuto bisogno, ma il suo ministro della Difesa, Ehud Barak, in visita negli Stati Uniti.

    Agenda fitta, quella di Barak a Washington: l'ex generale ha incontrato gli uomini più influenti dell'Amministrazione americana per tutto quello che preoccupa Israele. Il vicepresidente Joe Biden, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jim Jones, il segretario alla Difesa Robert Gates e il senatore George Mitchell, inviato speciale per il medio oriente. Violando i protocolli diplomatici, all'incontro con il consigliere Jones s'è unito anche per venti minuti lo stesso presidente. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Obama ha chiesto a Barak che il governo di Gerusalemme dichiari la propria “posizione aggiornata” sulla questione dell'espansione degli insediamenti in Cisgiordania e sul principio “due popoli due stati”. Tempo concordato per dichiarare: sei settimane.

    Il ministro della Difesa israeliano è entrato nel governo Netanyahu per chiara fama – è stato un comandante militare leggendario – ma non appartiene alla coalizione politica del premier, perché è il capo del Partito laburista, rivale alle ultime elezioni. Barak è nel governo, ma non è del governo. E ora gli americani hanno evidentemente scelto lui come uomo-chiave di collegamento con Gerusalemme. Un'altra rivale politica di Netanyahu, la leader del partito di centro Kadima, Tzipi Livni, a suo tempo ha rifiutato l'intesa con Netanyahu per comporre una coalizione di larghe intese.

    E' rimasta fuori, perché spera e confida nella breve tenuta del governo. E ora non perde l'occasione per bordate durissime. “Con Netanyahu si rischia la rottura tra Stati Uniti e Israele”, ha detto ieri in un'intervista alla Stampa. E su Radio Israel usa un tono irridente contro il suo avversario politico: e ora che cosa farai con Obama? “Netanyahu non sa ancora cosa dire nel discorso sul piano di pace che ha annunciato per domenica prossima”.
    I consiglieri di Netanyahu non stanno a guardare. Ieri hanno fatto circolare sui giornali online la loro versione dei fatti: “Obama cerca lo scontro con il premier come prezzo per ritrovare l'amicizia con gli arabi”. Per smorzare sul nascere le tensioni, ieri l'inviato speciale di Obama George Mitchell si è gettato in una giornata densissima di incontri:  ha visto di nuovo Barak per la seconda volta in una settimana, prima delle 8 di mattina, il presidente Shimon Peres alle 11, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman alle 14 e il primo ministro alle 17. “L'alleanza tra Stati Uniti e Israele è indiscutibile”, ha detto.

    Domenica Netanyahu terrà un discorso sulla politica di pace israeliana all'Università Bar Ilan, che sarà considerato la risposta ufficiale a quello di Obama all'università cairota di al Azhar. Secondo le prime anticipazioni, Netanyahu farà propria la visione obamiana, fatte salve le condizioni di sicurezza per Israele. Nel discorso la soluzione a due stati non è però citata.
    Dore Gold, già ambasciatore di Israele all'Onu e ora analista vicino al Likud, spiega al Foglio che non sarà la questione dei settlement in espansione demografica a mettere a rischio le relazioni con Washington. “C'è soltanto bisogno di una nuova intesa sul problema, ma all'effetto pratico si tratta soltanto dell'1,7 per cento del territorio della Cisgiordania”. Un'altra fonte del Foglio nell'ambasciata israeliana a Washington – che preferisce non essere nominata – spiega che è in corso una drammatizzazione ad arte delle relazioni israelo- americane.

    La stampa internazionale ci sta andando a nozze, “ma la verità è che se Netanyahu sta per dichiararsi d'accordo con le richieste di Obama, deve mostrare di acconsentire soltanto a malincuore, deve ostentare un certo attrito, così Obama guadagna credito con gli arabi. Credito da esigere al momento opportuno”. A Damasco, il leader di Hamas, Khaled Meshaal, già annuncia un discorso con le proposte politiche di Hamas in risposta a Obama. Domenica, subito dopo quello annunciato da Netanyahu.