Articolo esclusivo per il Foglio scritto dallo storico americano Michael Ledeen
L'iran libero nasce nel sangue
Pubblichiamo un'analisi di Michael Ledeen in esclusiva per Il Foglio su quanto sta accadendo in Iran. Ecco qualche stralcio:
"Ora è chiaro che la maggior parte degli iraniani odia il regime...La novità di Moussavi è sua moglie Zahra Rahnavard, presente nella campagna elettorale e nei comizi...".
Pubblichiamo un'analisi di Michael Ledeen in esclusiva per Il Foglio su quanto sta accadendo in Iran. Il testo è in inglese.
Washington. Alcuni giorni prima delle “elezioni” del 12 giugno, era già ovvio che l'Iran si stesse preparando a uno scontro aperto. L'odio che gran parte degli iraniani prova per il regime era evidente e si è visto nelle strade di Teheran e in molte altre città nel paese. I giornalisti a Teheran hanno usato toni molto forti per descrivere le manifestazioni anti regime.
Dal Times di Londra: “Si tratta di un'insurrezione aperta, una ribellione come raramente se ne sono viste in trent'anni di Repubblica islamica, un'eruzione di rabbia covata contro il governo repressivo del presidente Ahmadinejad. ‘Morte al governo', cantavano le migliaia di iraniani riuniti in uno stadio di Teheran. ‘Morte ai dittatori', ruggivano i giovani uomini e le giovani donne, con magliette, nastri, bandana e sciarpe verdi per segnalare il loro appoggio a Mir Hossein Moussavi”.
Dal Wall Street Journal: “Decine di migliaia di manifestanti hanno formato una catena umana lunga 12 miglia nella capitale iraniana lunedì (8 giugno, ndr), urlando slogan per il cambiamento, una scena che ricorda la Rivoluzione del 1979. I manifestanti cantano ‘Morte al dittatore', ‘Morte al governo delle menzogne' e altre frasi che non lasciano dubbi sui loro desideri: vogliono la fine di un regime oppressivo”.
Il loro candidato è l'ex premier, Mir Hossein Moussavi, uno degli architetti degli aspetti più brutali della Repubblica islamica quando l'ayatollah Khomeini era la Guida Suprema, e uno che è stato lontano dalla politica per almeno vent'anni. Da sempre noto come poco carismatico, Moussavi ha dimostrato durante la campagna elettorale di essere un oratore noioso, inefficace nei dibattiti (è stato battuto malamente in tv da Ahmadinejad). Ora è il leader che ispira un movimento di massa rivoluzionario. Come è potuto accadere?
Da un lato, Moussavi non è Ahmadinejad, per il quale c'è molto odio. Il circo elettorale si è svolto malgrado sullo sfondo ci fossero una repressione montante, le esecuzioni pubbliche di moltissimi giovani (qualcuno ha detto che fossero omosessuali), gli arresti di massa, la chiusura delle poche pubblicazioni quasi indipendenti rimaste, una censura sempre più pesante nelle comunicazioni e tantissime azioni terribili contro i giovani che non si attenevano alle regole sull'abbigliamento e sui comportamenti imposte dalla dittatura teocratica.
Il fatto che molti si siano trovati pronti a resistere a questo regime è un chiaro segnale del fatto che la gente fosse pronta a sfidare Khamenei e Ahmadinejad. E' chiaro da anni che la maggior parte degli iraniani vuole far parte dell'occidente e non di quel gruppo di nazioni che viene stigmatizzato per il suo sostegno al terrorismo, alla misoginia, alla negazione dell'Olocausto. Alcuni hanno visto in Moussavi qualche somiglianza con il “riformista” fallito, Mohammad Khatami, che fu eletto inaspettatamente presidente nel 1997. Come scrissi a quel tempo, Khatami era il contenitore vuoto in cui il popolo iraniano ha versato il suo appassionato desiderio di libertà. Khatami non ha mai riformato nulla, e molti iraniani hanno finito per considerarlo un sotterfugio per i più duri del regime, un'esca per portare alla luce i dissidenti in modo che potessero poi essere marginalizzati, torturati, incarcerati e ammazzati.
Ma Moussavi è diverso, anche se praticamente tutti hanno ignorato la prova di questa grande differenza: sua moglie. Come ha scritto il Times: “L'urlo più grande nel pomeriggio è stato riservato all'oratore principale, Zahra Rahnavard, la moglie di Moussavi. ‘Voi siete qui perché non volete più una dittatura – ha detto – Voi siete qui perché odiate il fanatismo, perché sognate un Iran libero, perché sognate la pace con il resto del mondo'. Lo stesso candidato era chissà dove…”. Il fatto che Rahnavard sia diventata così importante è stata una grande sorpresa, rivoluzionaria già di per sé. Come sappiamo, le donne sono sminuite nella Repubblica islamica (come in quasi tutto il mondo islamico), a livelli incomprensibili per i paesi civilizzati. Le donne ufficialmente valgono la metà degli uomini, non hanno diritti di proprietà, hanno pochissimo diritto di parola sull'educazione dei figli, hanno limitatissime possibilità di lavoro (Khomeini si scagliò contro il regime dello scià anche perché le donne potevano insegnare ai ragazzi) e naturalmente sono obbligate a coprire i loro corpi, inclusi i capelli, per il fatto che la loro vista corrompe gli uomini altrimenti virtuosi. Anche Shirin Ebadi, il premio Nobel per la pace, è regolarmente messa a tacere o messa ad arresti domiciliari quando il regime decide di averne avuto abbastanza delle sue chiacchiere sui diritti umani.
All'improvviso, la signora Moussavi è diventata una figura politica nazionale. Altre donne sono emerse, di tanto in tanto, sulla scena pubblica, ma mai, nella storia della Repubblica islamica, era accaduta una cosa del genere. Il suo ruolo politico è esplosivo. Minaccia le fondamenta del sistema: se una donna è come un uomo (questo è un messaggio della campagna di Moussavi, dimostrato dalla sua presenza, dalle parole che lei ha usato, dall'entusiasmo che ha scatenato), l'intera struttura del regime khomeinista è messa in discussione. Chiunque in Iran lo sa. Il mistero è perché le sia stato permesso di comportarsi così. Per metterla in modo schietto: la Guida Suprema Khameni avrebbe potuto fermare questo fenomeno fin dall'inizio, ma non l'ha fatto. E questo è stato un errore colossale. Perché lo ha commesso?
Molti mesi fa mi avevano raccontato che Khamenei era molto preoccupato del futuro del regime: aveva capito che c'era molto odio da parte di moltissima gente al punto che era diventato impossibile governare con la repressione. L'aggressiva politica interna ed estera di Ahmadinejad stava minacciando tutto ciò che era stato costruito nei 30 anni precedenti. Le persone che mi dicevano queste cose erano amiche di Moussavi e avevano previsto che si sarebbe candidato, e che avrebbe avuto un grande sostegno. Mi dissero anche che Khamenei aveva incoraggiato Moussavi a candidarsi, perché lui, la Guida Suprema, era pronto a garantire una libertà più ampia agli iraniani e una normalizzazione delle relazioni con l'occidente. Mi sembrò strano, ma Khamenei è molto malato e tutti dicono che usi grandi quantità di oppio per ridurre i dolori di un cancro incurabile. Quindi un comportamento strano poteva essere più comprensibile di quanto avrebbe potuto esserlo in circostanze “normali” (dico “normali” tra virgolette perché c'è davvero poco nella Repubblica islamica che chiunque di noi possa considerare normale).
D'altro canto era difficile immaginare che il regime avrebbe fatto un passo indietro e avrebbe lasciato che Moussavi trasformasse l'Iran in un paese tollerante con relazioni amichevoli con il resto del mondo occidentale. Ci sono forze potenti – quei teppisti noti come i bassiji, molti pezzi grossi delle Guardie della Rivoluzione – il cui fervore religioso è genuino e che erano pronti a combattere per la loro sopravvivenza, indipendentemente da quanti scendono per strada. E hanno parecchie munizioni dalla loro parte, compreso il monopolio delle pistole, dei carriarmati, degli elicotteri (gira voce che stiano lanciando acido sui manifestanti) e naturalmente delle prigioni, con le loro infami celle della tortura.
I mullah hanno già commesso innumerevoli errori. Sono stati battuti dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Iraq. Sono appena stati umiliati dal popolo libanese alle elezioni nelle quali tutti pensavano che avrebbe vinto Hezbollah. E sembra che non siano ancora riusciti a sviluppare una bomba atomica, dopo vent'anni buoni di tentativi, e nonostante gli sforzi dei paesi amici come il Pakistan, la Russia, la Georgia, la Cina, la Corea del nord e persino la Germania. E hanno frantumato l'economia nazionale, nonostante uno tsunami di petrodollari. Il popolo iraniano ha subito gli effetti di questa incompetenza e ora vuole mettervi fine. Questo spiega, credo, perché Moussavi – che è stato del tutto fuori dal potere per due decadi – è stato il più seguito dei quattri candidati alle elezioni presidenziali.
Fino a poco tempo fa, gli iraniani non credevano di poter fare una cosa di questo genere da soli. Credevano di aver bisogno del sostegno esterno, soprattutto di quello americano, per avere successo. Pensavano che Bush avrebbe fornito loro questo sostegno, e sono rimasti amaramente delusi. Ma nessuno di loro ha mai creduto che Obama potesse essere di qualche aiuto, sapevano quindi che sarebbero stati soli. Qualsiasi speranza possano aver nutrito nella Casa Bianca di Obama è stata spazzata via dalle prime due dichiarazioni dell'Amministrazione. La prima è stata fatta dal presidente in persona, anticipando la vittoria di Moussavi (è troppo presto per fare speculazioni sulla fonte di questi pensieri ottimistici) e, com'è nel suo stile narcisistico, assumendosene il merito: “Siamo eccitati nel vedere quello che sembra un robusto dibattito prendere piede in Iran oggi e ovviamente, dopo il discorso che ho tenuto al Cairo, abbiamo cercato di inviare un messaggio chiaro sul fatto che c'è una possibilità di cambiamento. Le elezioni sono in mano agli iraniani, ma come è già successo in Libano così può succedere in Iran: ci sono persone che stanno cercando nuove possibilità e al di là di chi vincerà le elezioni in Iran, il fatto che ci sia stato un robusto dibattito potrà aumentare la nostra abilità nel dialogare con l'Iran in un modo nuovo”.
Ho riletto il sermone del Cairo, e non ho trovato una singola parola che chieda la libertà per il popolo iraniano. Au contraire, le parole di Obama sull'Iran sono state contrite, si è scusato per il ruolo avuto dall'America nel 1953 nella rimozione di quello che il presidente ha definito un governo eletto (Mossadeq, che era stato nominato dallo scià, altro che eletto). Ma certo, la storia non è il suo forte.
Una volta che s'è capito che Ahmadinejad sarebbe rimasto, la Casa Bianca, pur avendo espresso scetticismo sull'accuratezza del conteggio dei voti, ha comunque insistito sul fatto che pure questa poteva essere una buona notizia: “La visione dominante nell'Amministrazione è che il regime apparirà così male dopo aver smontato le speranze di democrazia degli iraniani e averci sguazzato da sentirsi costretto a mostrare risposte concilianti verso le aperture al dialogo di Obama”. Questo avrebbe potuto essere vero se il regime avesse interesse a conquistare punti nell'opinione pubblica americana, ma il regime sta combattendo per la propria sopravvivenza. Gli iraniani ora non vogliono andarsene tranquillamente a casa ed essere intruppati nei prossimi quattro anni di repressione brutale. Soprattutto nel momento in cui i proventi del petrolio iraniano sono dirottati su Hamas, Hezbollah, Jihad islamico, al Qaida e sul programma per le armi nucleari invece che essere utilizzati per migliorare le sempre più miserabili condizioni degli iraniani. Stanno facendo sentire la loro voce.
Gli iraniani non si aspettano alcun aiuto dall'esterno. Bush non li ha aiutati, e nessuno pensa che Obama muoverà un dito per i dissidenti iraniani. Sono da soli, come lo erano gli elettori libanesi. Questo non sarebbe stato possibile senza che Moussavi si trasformasse in un leader rivoluzionario. E la chiave di questa trasformazione è il movimento che lo acclama come leader. La gente sta soltanto cominciando a capire la realtà della situazione. E pochi riescono a realizzare, così presto, che possono cambiare il mondo. Ma ci stanno arrivando, così come ci stanno arrivando i Moussavi, consapevoli del fatto che o vincono o saranno distrutti.
Finora l'occidente non ha fatto nulla, a parte esprimere preoccupazione e invocare ragionevolezza. Buona fortuna! Cosa dovrebbe fare? Sostenere la libertà in Iran.
Nulla potrebbe cambiare la regione come un governo libero, dedicato alla costruzione di buone relazioni con l'occidente. Hezbollah, Hamas, il Jihad islamico, i Talebani e gli altri jihadisti sarebbero indeboliti. La Siria di Bashar el Assad si ritroverebbe senza il suo fratello maggiore a Teheran. Se volete sognare la pace in medio oriente, un Iran libero è il cuore della vostra Utopia. Infine, per coloro che continuano a credere che la cosa più importante sia il conflitto arabo-israeliano, la migliore possibilità è ancora una volta un Iran libero che si preoccupi degli iraniani piuttosto che dei palestinesi. Non c'è speranza per la pace fino a che Teheran guida i movimenti del terrore. Ma se i terroristi dovessero cominciare a raccogliere fondi da soli, a trovarsi le armi da soli, a formare i loro killer da soli, le cose andrebbero di gran lunga meglio.
di Michael Ledeen
(Michael Ledeen è uno storico americano. E' nella direzione di National Review Online. In passato è stato consulente del National Security Council, del dipartimento di Stato e della Difesa. Ha pubblicato più di venti libri e scrive sul Wall Street Journal e sulla National Review Online)
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