Nella zona di rischio, dove basta una scintilla per riaccendere il rogo
Tracce di ruggine sull’asse che si è spezzato, quello deragliato che ha fatto ribaltare altri tre carrelli, considerato il responsabile materiale quasi certo della strage
Per paradosso, i pompieri tornano nel cuore dell’area devastata dal calore estremo del gas a “scaldare” le dieci cisterne piene di gpl immobili, alcune rovesciate sul fianco, sopra i binari. Accarezzano le pance dei dieci vagoni cilindrici con i getti d’acqua delle idropulitrici e delle autobotti. L’acqua a temperatura ambiente che scorre sul metallo rende piano piano il gpl meno denso, dentro è allo stato liquido e quindi a meno cinque sotto zero, e più facile da travasare. “Fortuna che non siamo a gennaio, o sarebbe così pastoso che ci vorrebbero sette ore a cisterna”. Sono passate trentasei ore dal disastro e il numero delle vittime è cresciuto a 17. E crescerà ancora. In fondo, a meno di duecento metri c’è la tettoia rosa in stile razionalista della stazione. Qui è come disinnescare una bomba, anzi un convoglio di bombe. E infatti tutt’attorno è stata creata la “zona di rischio”, come quando sono al lavoro gli artificieri militari.
Se tutto salta di nuovo in aria, le fiamme e il danno fin dove arrivano? Là si spostano i nastri e le transenne e nessuno passa più. Per fare in modo che l’operazione vada liscia, è arrivata da Milano una squadra specializzata dei pompieri, un Nucleo per i casi difficili con la radioattività e con le sostanze chimiche. Prima fanno annusare ai rilevatori elettronici se dalle cisterne superstiti, già sottoposte agli sballottamenti del deragliamento e dell’esplosione, stanno uscendo ancora quantità pericolose di gas. Sembra di no, ci sono soltanto perdite “fisiologiche”, qualche guarnizione, poco odore. Poi affiancano la cisterna pericolosa con una gemella, fatta arrivare sui binari grazie a ditte specializzate. Infilano un compressore nella cisterna a rischio, alzano con cautela la pressione, comprimono lentamente il gas liquido fino a quando quello passa in quella sana. Rischi? “Ci sono cose che possono non andare bene. Del resto in casa c’hai una bombola da sette, o da quindici litri. Qui dentro una cisterna ce ne sono novantamila e quando escono lo spazio che occupano si moltiplica in fretta per cinquecento”. Turni corti di quattro ore, “per non staccare mai gli occhi”, cinque-sei uomini della squadra gpl attorno a ogni cisterna. “Il gpl il gpl. C’ho i coglioni pieni con il gpl”. Ma poi fanno sul serio. Con le radiotrasmittenti modello “EX”, speciali, senza contatti che possano innescare detonazioni. Torce luminescenti, senza lampadina. Telefonini spenti, occhio che non rimangano sassolini incastrati nella suola di gomma degli scarponi. “Non sia mai che strisci il piede su una superficie ruvida di metallo e scocca una scintilla”.
Cinque telefonini e due pc portatili. Qualche idea di che cosa può avere scatenato l’esplosione l’altra notte? “Troppi fattori. Basta una marmitta catalitica, a ottocento gradi, la combustione spontanea del gpl si verifica a metà temperatura, quattrocento gradi”. E poi non è detto che sia successo subito. Ci vuole la giusta concentrazione di gas nell’aria. Tra il cinque e il 15 per cento, o non avviene nulla. Il gpl deve avere avuto il tempo di espandersi. “Quando entri in un appartamento saturo di gas apri d’istinto la finestra, la concentrazione s’abbassa, diventa quella giusta e salta in aria tutto”. I sopravvissuti hanno raccontato dell’“onda fredda della nube di gas sulle ginocchia”, che in alcuni casi li ha spinti a rientrare e li ha salvati. Poco lontano, bene dentro la zona interdetta, i pompieri regolari stanno sgombrando la viuzza distrutta dallo scoppio. Escono da una palazzina arsa fino al tetto, consegnano a un carabiniere un sacchetto. “Cinque telefonini e due computer portatili”. Serviranno per l’identificazione. Quattro-cinque cadaveri non sono stati ancora identificati, gli altri lo sono stati soltanto grazie a indizi non risolutivi, come i braccialetti indossati. L’ultimo pompiere traccia con una bomboletta spray un tondo nero sul muro. 1 Fi 1-7, 1 squadra di Firenze, 1 luglio. Ispezione finita.
Ieri il ministro Matteoli ha spiegato alla Camera che sono state trovate tracce di ruggine sull’asse che si è spezzato, appartenente al primo vagone – quello deragliato che ha fatto ribaltare altri tre carrelli – considerato il responsabile materiale quasi certo della strage. La ruggine sull’asse tradisce la possibilità che il metallo fosse corroso e troppo vecchio e logoro per reggere il suo dovere. Ieri la bimba straniera di tre anni ricoverata con ustioni sul 90 per cento del corpo all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è morta. Così anche un bambino di due anni in condizioni simili, portato a Firenze. Chi cura il bilancio delle vittime dice però di non considerare i dati come definitivi, perché ci sono 27 feriti gravi.
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