Quel genio di Funari, volgare dunque rivoluzionario
Quando sono entrato per la prima volta nella vita di Funari e ho incominciato a frequentare la sua casa di Bissano in Liguria, la “chanson de geste” del suo passato di croupier e giramondo, veniva ripetuta oralmente non solo dall'interessato, ma dalla moglie di allora e dai suoi collaboratori.
di Carlo Freccero
Quando sono entrato per la prima volta nella vita di Funari e ho incominciato a frequentare la sua casa di Bissano in Liguria, la “chanson de geste” del suo passato di croupier e giramondo, veniva ripetuta oralmente non solo dall'interessato, ma dalla moglie di allora e dai suoi collaboratori. C'era un'aneddotica consolidata, tramandata per tradizione orale. A quell'epoca Funari aveva circa 50 anni, ma si considerava come un patriarca che ha molto vissuto e che tramanda ai giovani le sue esperienze. Uno arrivato alla fine di un'avventura complessa ed appagante. Aveva già alle spalle un grosso successo televisivo come conduttore di talk show. Era l'inventore di “A bocca aperta” in cui, per la prima volta, la parola era data al pubblico. Ma la sua vita in televisione era appena agli inizi. Anche se non poteva immaginarlo. Stava per succedere quello che lui stesso chiama “la rivoluzione” e che – nel libro autobiografico postumo, Il potere in mutande - descrive in un capitolo che mi coinvolge in prima persona: “Io, Freccero e la rivoluzione”.
Grossi eventi stavano per accadere nel paese, Mani Pulite e il crollo delle prima Repubblica, cioè la sparizione di quella politica di professione che aveva controllato l'Italia dal dopoguerra ad allora. Ed una seconda grande rivoluzione era in atto. L'esplosione della televisione commerciale, l'affermazione dell'audience, la rilevazione degli ascolti, come elemento di scelta e di programmazione. Niente sarebbe stato più come prima. Ma, soprattutto la politica e lo spettacolo, attraverso l'audience ed il sondaggio, avevano cominciato a fondersi, secondo un processo inarrestabile che porterà alla sparizione di partiti tradizionali e alla nascita di “Forza Italia” il partito mediatico per eccellenza. Ma già Ai tempi di “mani pulite”, politica e televisione si stavano fondendo. Senza l'appoggio di un'opinione pubblica che tramite la televisione poteva vedere in diretta l'operato dei giudici, la contestazione delle folle, forse “mani pulite” si sarebbe bloccata prima. La politica tradizionale era in crisi, sotto processo. In questo contesto Funari inventò un nuovo modo di trattare l'argomento politico.
Funari è sempre stato un precursore, a suo modo un teorico della televisione, che si esprimeva non attraverso saggi o recensioni, ma con la consapevolezza estrema con cui conduceva il suo lavoro. Nell'apparente circo mediatico che lo circondava, non c'era mia niente di casuale. Come lui stesso sottolinea controllava persino le “cineprese”, facendo di fatto la regia del programma. C'è una gag di Corrado Guzzanti che ha immortalato tutto questo. Con gli occhi in macchina lo pseudo Funari chiede ai cameraman: “dammi la 3, dammi la 5, dammi la 4”, si mette in mostra con la mortadella in mano di fronte all'obiettivo.
Gianfranco nella sua carriera di conduttore ha almeno due grandi intuizioni che fanno di lui un precursore: la prima è una sorta di presagio della neotelevisione. Il pubblico, continuamente sollecitato ad esprimere attraverso la rilevazione dell'audience, la sua personale forma di programmazione, non può accontentarsi per sempre di un ruolo passivo, esterno al mezzo. Non può essere in eterno pubblico. Vuole farsi attore, passare al di là degli schermi. Soprattutto sente di contare non solo per la sua presenza fisica, ma per le sue scelte e le sue opinioni. Vuole dire la sua, a bocca aperta. E non conta tanto la preparazione, la qualificazione e la competenza. Conta la schiettezza, la verità, l'appartenenza alla maggioranza. La maggioranza, la scelta collettiva della gente normale, priva di commenti di massa è la grande protagonista degli anni ‘80/90. Finalmente pure chi non sa nulla può prendere la parola, perché il suo voto, la sua scelta vale come la scelta di chi è più qualificato. Non solo. La scelta più ampia, le unanimità non si costruiscono intorno a temi specialistici, ma tendono piuttosto a quel minimo comun denominatore che caratterizza le scelte di tutta la televisione commerciale. Io ho chiamato questa opinione pubblica ampia ed indifferenziata maggioranza. Funari, la gente. Alla gente viene data per la prima volta la parola in “a bocca aperta”. Ma è ancora una parola su temi generali o pratici. Una sorta di assemblea condominiale.
Il salto successivo è il passaggio alla politica, la volontà della gente di gestire direttamente la cosa pubblica. Negli anni'80/'90 assistiamo ad una progressiva fusione fra maggioranza e politica. La gente vuole che i politici inizino a rendere conto di sprechi e abusi, vuole essere informata senza tecnicismi di qualcosa che la riguarda direttamente. L'intuizione della politica come diretta emanazione della volontà della gente è la seconda grande intuizione teorica di Funari. Quando parla di rivoluzione non usa una metafora. Funari è il primo ad intuire la convergenza fra politica e audience, a capire che la politica sarà sempre più frutto di sondaggi e che il sondaggio è espressione della gente. Non solo. In questo modello di “democrazia diretta” non reale, ma percepita, la piazza, in cui si dibatte e si vota, in cui si sceglie e decide il volere del popolo, è la televisione, lo spazio enorme e condiviso del pubblico della tv generalista. La televisione è sempre meno divertimento, intrattenimento, svago e sempre più luogo di scambio e di discussione, spazio pubblico in cui riflettere e giudicare. Funari disciplina questo spazio e questo dibattito in nome della gente.
Frantuma il modello tradizionale di tribuna politica, con gli incontri fra funzionari di partito scandito da tempi rigidi e caratterizzati da domande compiacenti di giornalisti ossequiosi nei confronti del potere. I politici sono sottoposti al giudizio del pubblico. Non devono e non possono barare. Se un politico di destra dice una cosa di sinistra e viceversa, viene ironicamente invitato a collocarsi nel settore opposto. Soprattutto il linguaggio deve essere chiaro, comprensibile a tutti secondo il principio del “parla come mangi”. Basta con gli azzeccagarbugli, con il gergo del potere, con il “latinorum”. I politici devono appartenere alla gente o sparire come personaggi di ere precedenti, spazzati dalle dure leggi dell'evoluzione. A venti, trent'anni di distanza, dopo una fase di restaurazione che ha ricostruito nuovi partiti, questo principio della semplicità del messaggio rimane invariato.
È curioso come due personaggi, Funari e Silvio Berlusconi, che nel corso della loro carriere professionali hanno dovuto fronteggiarsi per difendere i loro principi ed interessi, condividano un passato con diverse analogie. Entrambi sono stati intrattenitori e uomini di spettacolo. Berlusconi ha esordito come cantante sulle navi da crociera. E come imprenditore ha dovuto essere rappresentante dei suoi business. Funari è stato rappresentante, croupier, comico e cabarettista al mitico Derby di Milano. Entrambi hanno dovuto imparare a comunicare a contatto diretto con il pubblico. Hanno appreso dallo spettacolo ritmi e tempi di gestione del discorso. Sanno fiutare le reazioni spontanee del pubblico ed “aggiustare il tiro” nel corso di un dibattito. Sono espressione di una maggioranza. L'insieme degli elettori per Berlusconi. La gente per Funari. Sono entrambi figli di un tempo, gli anni'80 e di un'episteme la maggioranza che hanno rivoluzionato il panorama italiano. La loro capacità di capire il presente e di anticipare il futuro, ha permesso ad entrambi di raggiungere grandi obiettivi. Berlusconi nel campo del business e della politica. Funari in televisione.
Senza essere un critico televisivo, Gianfranco ha scritto alcune delle pagine più significative della televisione. Dirò di più. La critica interviene a posteriori. Spesso per disciplinare, per limitare, per bloccare i programmi. Per riportali ad un ideale estetico di misura e tradizione che insiste su canoni consolidati. Funari è stato un innovatore e come tale spesso criticato. Non ha voluto essere giornalista, ma giornalaio proprio per poter esprimere una carica creativa e vitale nell'affrontare le notizie nel modo meno conformista e scontato. Per questo ha dovuto subire accuse di volgarità. Il nuovo, l'autentico è sempre volgare. Erano volgari gli impressionisti rispetto ai pompiers, era volgare il western all'italiana rispetto al western classico americano. È volgare ogni enunciato che stravolge un codice consolidato. Funari è stato accusato di fare tv spazzatura. Ma, come ci insegna De Andrè “dai diamanti non nasce niente”. La spazzatura costituisce, semplicemente, l'humus del nuovo.
di Carlo Freccero
Il Foglio sportivo - in corpore sano