Chicche di Stiglitz
Joseph Stiglitz, l'economista che assomiglia come una goccia d'acqua a Mel Brooks, divide il destino di Woody Allen: amato con calore all'estero, stimato ma con freddezza da colleghi e media in patria, pieni di diffidenza per il figlio di Nathan, assicuratore, e di Charlotte, insegnante elementare di Gary, città fabbrica dell'Indiana.
Joseph Stiglitz, l'economista che assomiglia come una goccia d'acqua a Mel Brooks, divide il destino di Woody Allen: amato con calore all'estero, stimato ma con freddezza da colleghi e media in patria, pieni di diffidenza per il figlio di Nathan, assicuratore, e di Charlotte, insegnante elementare di Gary, città fabbrica dell'Indiana. E il destino del premio Nobel 2001, premiato per i suoi contributi alla teoria delle asimmetrie informative, non è certo destinato a cambiare nella settimana del G20 di Pittsburgh. All'appuntamento, infatti, Gordon Brown, premier del Regno Unito, arriverà con un dossier di consigli elargiti dall'accademico della Columbia University. Ancor più stiglitziani saranno i cinesi perché da quelle parti, fa sapere l'ex capo economista del Senato, “è considerato quasi un Dio dopo le sue critiche alla politica del Fondo monetario negli anni della crisi asiatica”. Soprattutto a confermare – alla faccia del non meno ambizioso e narcisista Paul Krugman – la sua fama di economista più citato del pianeta (titolo attribuito dalla Connecticut University dopo l'esame di migliaia di riviste, specializzate e non) saranno i risultati del rapporto adottato con entusiasmo da Nicolas Sarkozy, in cui il Nobel, assieme a Jean-Paul Fitoussi decreta la fine del pil quale principale, se non unico, metro per misurare il benessere del popolo.
Fa specie, a prima vista, che il super consulente dei due mondi non sia stato reclutato da Barack Obama, nonostante i suoi trascorsi di capo dello staff economico di Bill Clinton. Certo, non manca un precedente illustre che a Stiglitz, critico verso un presidente troppo arrendevole nei fatti verso Wall Street, non dispiace: nel 1934 Franklyn Delano Roosevelt allontanò un petulante John Maynard Keynes, che lo incitava ad aumentare gli incentivi all'economia. Colpa probabilmente dell'antipatia, ampiamente ricambiata, con Lawrence Summers, consigliere principe della Casa Bianca, da cui lo divide una disputa che dura da una vita. Al punto che ha fatto notizia, lo scorso aprile, che lo stesso Summers abbia invitato all'ultimo momento “l'amico Joe” (sic) a una cena di economisti con il presidente. Un invito recapitato via telefonino, ad Anya, la terza moglie di Stiglitz (sarà un caso, ma il figlio Michael Edwin ha un master in “family and marriage”) che, forse per riaffermare il suo concetto di felicità, si rifiuta di leggere gli sms. Certo, dietro l'ostilità tra il collerico Summers e il non meno iracondo Stiglitz, c'è più di una ragione scientifica e politica: architetto della globalizzazione, il primo; critico dei vantaggi garantiti dal sistema ai ricchi rispetto ai paesi poveri, il secondo. E ancora: il primo, grande protagonista dell'abolizione della Glass-Steagall, ovvero dell'abbattimento delle barriere tra banche d'affari e istituti commerciali, scelta combattuta invano fino all'ultimo da Stiglitz. Oggi è lui a prendersi la rivincita nelle rievocazioni del crac di Lehman Brothers. Anzi, “le cose vanno peggio di un anno fa – dichiara – perché la crisi è esplosa per il comportamento delle grandi banche, troppo grandi per fallire. Il risultato? Oggi le banche troppo grandi per fallire sono ancora più grandi con un potere ancor più concentrato”. Non è il solo a pensarla così: anche Stanley Fisher, governatore della Banca centrale di Israele e vecchio tutor per il phd di Ben Bernanke, fa una diagnosi simile. Ma non è il caso di far incontrare i due, divisi da una vecchia ruggine. Tutto per colpa di un libro “Globalisation and its Discontents” in cui Stiglitz, nel frattempo licenziato dal ruolo di capo economista del Fondo monetario per la sua dichiarata ostilità alle ricette del Fondo per i paesi vittime della crisi asiatica e di quella russa (taglio della spesa pubblica, aumento delle imposte), accusava in pratica Fisher di essersi guadagnato un posto milionario in Citigroup per la sua azione di killeraggio dei paesi poveri. “E' un'accusa ignobile”, insorse all'epoca Kenneth Rogoff, altro economista che ha guadagnato punti per le sue previsioni sulla crisi dei mercati.
Ma negli ambienti accademici buona parte della fama di Rogoff è ancora legata alla replica del 2002, intinta nel veleno, al ruspante Stiglitz. “Caro Joe – si legge in una lunga lettera aperta – qualche anno fa, quando eravamo giovani economisti ho avuto l'onore di lavorare al tuo fianco. Ti ricordi quando, a Princeton, passò Paul Volcker?”. Il racconto suona così: Stiglitz a Rogoff: “Ken, tu hai lavorato alla Fed. Secondo te, Volcker è davvero intelligente?”. Rogoff rispose che, secondo lui, Volcker era senz'altro il miglior banchiere che la Fed avesse mai avuto. “Va bene – fu la risposta di Stiglitz – ma intendevo dire: è intelligente quanto noi due?”. L'aneddoto, perfido, è ancora in attesa di smentita. Anzi Stiglitz, dopo aver detto di non ricordarsi uno scambio di battute del genere, ha ammesso: “Probabilmente mi domandavo se Volcker non fosse in realtà solo un buon teorico…”.
Non stupisce, insomma, che la star delle critiche alla globalizzazione non riscuota troppa simpatia nei pensatoi americani, anche quelli più liberal. Ma tant'è: non si può chiedere ai geni di esser pure simpatici. E poi, forse su consiglio della moglie Anya, già corrispondente da Hanoi, oggi docente di giornalismo alla Columbia University, Stiglitz da anni snobba la corsa agli incarichi ufficiali di Washington, sazio com'è di onori in giro per il mondo. Non è da tutti sapere che il premier della grande Cina lo considera il suo maestro per i lavori sull'economia dei poveri. Una soddisfazione così non la si misura in termini di cariche. O di pil.
di Ugo Bertone


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