Stefano Cucchi

Tutti i Cucchi delle carceri italiane

Redazione

Alla impenetrabilità della zona grigia carceraria deve corrispondere una repressione fulminea, pubblica e solidale dell’abuso nel monopolio della forza

Stefano Cucchi ha subito un pestaggio mentre era nelle celle di sicurezza del tribunale, poco prima di essere portato in udienza per la convalida dell'arresto. Di questo è convinta la procura di Roma: il geometra di 31 anni è "stato scaraventato a terra", avrebbe subito "una sederata pesantissima", che potrebbe aver determinato le fratture di due vertebre. Non è da escludersi che sia stato anche preso a calci e pugni. Sono sei gli indagati nell'inchiesta sulla morte di Cucchi. Si tratta di tre agenti di custodia e di tre medici, che sono stati iscritti nel registro degli indagati.


  

Quanti Stefano Cucchi ci sono, nei corridoi violenti delle carceri e dei tribunali italiani? Domanda imbarazzante, resa attuale però dalla schiera di rivelazioni che sta accompagnando il decorso dell’inchiesta per omicidio che riguarda il ragazzo romano malamente morto nelle mani dello stato dopo un arresto per detenzione di droga. Il caso analogo di un Giuseppe nella galera di Parma, nello scorso fine settimana, l’ha segnalato in questi giorni il Corriere; mentre il Manifesto cerca di ricostruire, con l’aiuto della famiglia, le ultime ore di un Marcello morto nel 2003 dentro il penitenziario di Livorno. Episodi che intrecciano un ordito mediatico il cui senso è: la condizione carceraria è impazzita oppure è la sua ordinarietà ad essere intollerabile. Ma se anche questa folle “normalità” proiettabile sul tasso di violenza carceraria fosse considerata “statisticamente sopportabile”, non ci potremmo tuttavia esentare dal sospetto che la statistica contenga un elemento agghiacciante di dismisura. Non è detto che sia così, sebbene numerose testimonianze indichino questa buia direzione.

  

E tuttavia non basta lamentarsi della densità delle carceri o spiegare che le prigioni non sono luoghi per gente ammodino, che i detenuti stessi sono talvolta il naturale pericolo fisico per gli altri detenuti e che non è facile risolvere situazioni di rabbia, anche autolesionista, senza la mano pesante. E’ in gran parte vero, ma proprio perché il mondo carcerario è antisociale, duro, crudele, vendicativo, violento, proprio per questo diventa indispensabile l’esercizio occhiuto dell’autocontrollo e dell’intervento di autopulizia laddove l’ordinaria amministrazione diventi omicidio. Alla impenetrabilità della zona grigia carceraria, in cui guardie e reclusi coabitano secondo le regole comuni di una giustizia che non appartiene al mondo dei liberi, deve corrispondere una repressione fulminea, pubblica e solidale dell’abuso nel monopolio della forza.

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