Parla il generale Graziano

Perché il Libano procede verso la stabilizzazione

Redazione

Il generale Claudio Graziano è da tre anni consecutivi il comandante della missione Unifil in Libano ed è diventato il protagonista di un paradosso mediorientale. Israele sostiene che Hezbollah si sta riarmando sotto gli occhi del contingente delle Nazioni Unite anche a sud del fiume Litani in vista di un secondo conflitto come quello dell'estate 2006. Ci sono le prove – dice Gerusalemme – di traffici di armi dagli stati sponsor del terrorismo come Siria e Iran verso il gruppo sciita.

    Il generale Claudio Graziano è da tre anni consecutivi il comandante della missione Unifil in Libano ed è diventato il protagonista di un paradosso mediorientale. Israele sostiene che Hezbollah si sta riarmando sotto gli occhi del contingente delle Nazioni Unite anche a sud del fiume Litani in vista di un secondo conflitto come quello dell'estate 2006. Ci sono le prove – dice Gerusalemme – di traffici di armi dagli stati sponsor del terrorismo come Siria e Iran verso il gruppo sciita. Eppure due settimane fa il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, ha fatto una telefonata riservata al premier italiano Silvio Berlusconi per chiedergli di allungare di altri sei mesi il comando italiano su Unifil nel sud del Libano. Graziano, arrivato in Libano al tempo del governo Prodi, quando c'era Massimo D'Alema ministro degli Esteri e interlocutore di Hezbollah, si è vinto il rispetto del governo israeliano dei conservatori del Likud.

    Al telefono con il Foglio, il generale italiano – “ma per ora sono delle Nazioni Unite” – contesta l'idea che la fase corrente in Libano sia soltanto la quiete prima dell'uragano inevitabile, l'intervallo tra due guerre, la prima quella tra Israele e Hezbollah nell'estate 2006 e la seconda quella che verrà, e per cui entrambe le parti stanno accelerando i preparativi – i commando israeliani la settimana scorsa hanno bloccato in mare un mercantile iraniano carico di armi e razzi destinati a riempire di nuovo gli arsenali di Hezbollah.
    “Stando qui, non ne sono convinto – dice Graziano – ho invece la percezione della diffusa volontà di non rientrare in guerra perché qui il conflitto è stato terribile, ha lasciato sangue e distruzione, e vedo piuttosto la diffusa volontà di ricostruire. E lo dico considerando una serie di fattori. Il Libano va avanti, procede in direzione della stabilizzazione. Rispetto al 2006, quando era debole, l'esercito libanese si è fatto più credibile e ha conquistato la fiducia della popolazione, come ha dimostrato vincendo la battaglia contro i terroristi asserragliati nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared, ora rappresenta un pilastro forte dello stato. In questi giorni a Beirut il nuovo governo di unità nazionale, dopo mille passaggi negoziali fra i partiti, sta prendendo forma, sotto la leadership di Said Hariri, e anche le relazioni diplomatiche si stanno normalizzando. Il Libano ha mandato un ambasciatore in Siria, sono ripresi i rapporti diretti che prima si erano interrotti. La nozione che questa sia solo una fase di sospensione in attesa di un altro scontro è inesatta. Tempo due anni, e il processo di pace potrebbe essere irreversibile”.

    Due anni e la pace in Libano diventerà duratura?
    “Sì, servono altri due anni, considerati i progressi fatti negli ultimi tre. Sono convinto che, in altri due anni di stabilizzazione guidata, la pace, o meglio: la condizione di non guerra, si assesterebbe”.
    A meno che non si presenti un “worst case scenario”, il peggior scenario possibile, l'ipotesi che i generali studiano con la speranza che non si verifichi mai. Graziano non lo vuole nemmeno nominare per ipotesi: ma è chiaro che il convitato di pietra seduto alla base Unifil è il possibile attacco israeliano alle installazioni nucleari iraniane, con il timore che il quadrante mediorientale s'infiammi di colpo. La ritorsione contro Israele verrebbe senza dubbio anche dal confine libanese controllato da Unifil, sferrata dalle milizie Hezbollah. “Ma si tratta di una questione su cui non abbiamo alcun tipo di controllo. L'altra mia fonte di preoccupazione e il mancato passaggio dal semplice stato di cessazione delle ostilità a quello di cessate il fuoco. E' il passaggio verso la pace che non può essere fatto dai militari, ma che deve essere fatto dai governi, e non lo stanno facendo”.

    Sullo scenario politico, nazionale e internazionale, non c'è controllo. ma a livello locale Unifil sta compiendo un piccolo miracolo quotidiano. “Siamo l'unico canale di comunicazione tra le due parti – dice il generale Claudio Graziano – grazie ai nostri meeting tripartiti attorno a un tavolo a ferro di cavallo”. Le parti sono Israele e le Forze armate del Libano. Su una linea di confine tesissima, Unifil continua a disinnescare una serie infinita di potenziali casus belli. Ci sono i campi degli agricoltori rimasti oltre la Linea Blu, e a loro siamo riusciti a fare avere speciali permessi di lavoro.
     

    “C'è il caso dell'israeliano con problemi di mente che sconfina in territorio libanese – continua Graziano – e ovviamente viene subito arrestato dalle forze di sicurezza libanesi, ma che riusciamo a far restituire nel giro di sole quattro ore”.
    Soprattutto, ci sono da discutere e risolvere assieme i casi di violazione della risoluzione 1.701, che governa la vita sul confine tesissimo tra Israele e il territorio del Libano per una profondità di trenta chilometri. Nell'agosto 2008, a due anni dalla fine della guerra, durante una conferenza stampa, il generale italiano si è lamentato delle violazioni da parte di Israele, come i sorvoli effettuati sui villaggi di confine dall'aviazione. Ci sono violazioni da parte di Hezbollah? “Non abbiamo avuto negli ultimi tre anni evidenze di un traffico di armi. C'è stata l'esplosione di un deposito di armi, il 14 luglio scorso, a Khirbat Silim, è vero. Abbiamo finito le nostre investigazioni ed è chiaro che quel deposito era una violazione della risoluzione Onu, ma si trattava di armi vecchie già presenti sul posto. Poi ci sono altri due incidenti, tra cui quello di Tair Filsay (un secondo deposito esploso il 13 ottobre scorso, si sospetta un sabotaggio israeliano, ndr) ma non abbiamo ancora finito le nostre investigazioni”. Graziano ammette senza problemi che il disarmo – “di cui la risoluzione che siamo qui per applicare non parla” – non c'è stato.

    “Non escludiamo affatto la presenza di armi.
    Secondo la 1.701, noi operiamo in appoggio alle forze di sicurezza libanesi. Abbiamo il controllo dell'area, ma certamente non possiamo entrare nelle case, a meno che ci sia l'evidenza della presenza di armi”. Parla da comandante internazionale Unifil, ma non nega l'importanza in questo tipo di missioni del “modello italiano”: “Effettivamente devo dire che c'è un modello, l'Italia ha maturato un modo piuttosto efficace di affrontare le situazioni. Il soldato italiano riesce a interpretare in modo molto maturo la sua missione e le regole di ingaggio, a non aver paura di applicarle in modo severo e allo stesso tempo di essere umano con la popolazione civile”. Un modello esportabile, per esempio, a Gaza? “Sarebbero necessarie due parti che lo chiedono, e non è il caso di Gaza. In astratto sì, è un modello da tenere in conto”.