La prima sconfitta di Obama
"We've got people inside our wire!”. “Sono dentro!”. Mai, mai era successo prima in Iraq e ora in Afghanistan di ascoltare via radio questo grido d'orrore dalla bocca del comandante di un Cop, Combat outpost. Il Cop è un fortino militare in Asia, come un puntino disegnato sulle mappe americane dalla strategia del generale Stanley McChrystal.
"We've got people inside our wire!”. “Sono dentro!”. Mai, mai era successo prima in Iraq e ora in Afghanistan di ascoltare via radio questo grido d'orrore dalla bocca del comandante di un Cop, Combat outpost. Il Cop è un fortino militare in Asia, come un puntino disegnato sulle mappe americane dalla strategia del generale Stanley McChrystal. La strategia afferma: spargerai le tue truppe il più possibile per tutti gli angoli del paese che il presidente degli Stati Uniti ti ha chiesto di pacificare. In questo caso – nel caso di Cop Keating – tra le montagne remote ma strategicamente irrinunciabili del Nuristan.
Regola numero uno. I Cop e le altre basi più grandi sono bolle sigillate a tenuta stagna posate sul territorio nemico, gli americani stanno all'interno e i guerriglieri devono rimanere all'esterno. Poi i soldati escono fuori per intraprendere tutte le operazioni di controinsurrezione necessarie, escono per combattere o più spesso per andare a parlare con i capivillaggio locali, per mettere in piedi un ambulatorio medico o per sfondare la porta di un ricercato di al Qaida e portarlo via dentro un sacco nero. Ma i guerriglieri non devono riuscire a penetrare all'interno di un Cop. E' come se vigesse l'extraterritorialità delle basi, sono un pezzo di suolo d'America. Per come sono irti di difese, tanto varrebbe accettare l'idea che se i talebani possono espugnare le basi oltremare allora possono anche sbucare da dietro una scrivania dentro la Casa Bianca. Ci sono visori a infrarossi, telecamere ad alta definizione, bastioni fortificati, copertura aerea, armi dappertutto. Sulla regola numero uno non si può transigere, perché sarebbe l'inizio della fine. I soldati americani possono farsi ammazzare in imboscate, essere attaccati da autobomba, farsi prendere a fucilate, colpi di razzo, raffiche di mitragliatrici, ma devono sempre poter contare sul ritorno e su una dormita sicura al Cop: è la loro cassaforte.
Ma il 3 ottobre scorso è successo l'impensabile a Cop Keating, spicchio sudorientale dell'Afghanistan a soltanto dieci chilometri dal confine pachistano. I guerriglieri hanno attaccato in massa, sono riusciti a rompere le difese americane e a sciamare dentro il forte. Nella battaglia durata tutta la giornata sono morti otto soldati e un centinaio di talebani.
L'unico caso vagamente paragonabile era accaduto in Iraq nel 2004, quando un attentatore suicida di Ansar al Sunna era riuscito a scivolare dentro una mensa vicino a Mosul vestito da inserviente e si era fatto saltare tra i soldati seduti ai tavoli, ammazzandone una ventina. Ma era il 2004: come dire l'età dell'innocenza rispetto a oggi, e si era trattato di un azzardo subdolo dei guerriglieri, un'operazione irripetibile giocata sull'inganno: non di un assalto frontale noi-siamo-più-forti-e-ora-vi-battiamo.
Quando gli elicotteri americani sono finalmente arrivati a Cop Keating, i piloti non avevano mai visto – come poi diranno nei rapporti – una scena simile: centinaia di talebani che brulicano attorno al forte, sui muri, dentro il forte, la maggior parte delle installazioni in fiamme e nascosta dal fumo, i soldati americani asserragliati in un angolo a combattere per le proprie vite. Il Cop era misto, c'erano anche baraccamenti di soldati afghani, i primi a cadere nelle mani del nemico. I guerriglieri hanno subito girato le armi delle forze regolari contro il lato americano e al resto hanno dato fuoco. Dodici soldati afghani sono stati portati via.
Il primo resoconto della battaglia è quello fatto su Internet dal generale Barrey McCaffrey, grazie a un ufficiale non identificato al lavoro nel centro comando della vicina provincia di Laghman. Quel giorno l'ufficiale teneva sotto controllo le comunicazioni satellitari da tutte le unità americane sparse nelle province di Nangahar, Kunar e Laghman e ha ascoltato il disastro militare in diretta .
Alle sei del mattino è cominciato il fuoco di armi leggere. In sé, non una cosa preoccupante, anzi, piuttosto frequente nella provincia. Poi le cose hanno cominciato a guastarsi. Volume di fuoco sempre più forte. Razzi. Il comandante del Cop ha chiesto l'intervento degli elicotteri, ma gli è stato risposto che erano a 45 minuti di volo. “Difenditi con i mortai”, gli hanno detto. Ma non si poteva più: la posizione è sul fondo di una conca naturale, dagli spalti di roccia tutt'attorno i guerriglieri tenevano sotto il fuoco la squadra di artiglieri.
Cop Keating dal punto di vista militare era un obbrobrio indinfendibile, un forte di fondovalle accanto al letto di un fiumiciattolo dove i soldati erano costretti a puntare le armi verso l'alto e i nemici ti sparavano da sopra, ma non c'erano molte altre opzioni. La zona è un labirinto ripido di calanchi e villaggi aggrappati ai fianchi di roccia delle prime increspature dell'Hindu Kush, che poco più a oriente si alza e diventa la catena dei picchi himalayani. Il Cop americano era stato messo lì come a voler dare un messaggio simbolico, abbastanza vicino al villaggio di Kamdesh da proteggerlo dall'influenza talebana ma non troppo da disturbare gli abitanti. O si sta al sicuro in cima a una vetta, ma isolati, o si sta in basso ed esposti tra la strada e le prime case.
La mattina del 3 ottobre altri mortai americani da 120 millimetri, da Cop Fritshe a pochi chilometri di distanza, hanno cominciato a sparare ma non sono stati di aiuto. A quel punto il comandante ha comunicato via radio di avere “molti feriti e un Kia”, killed in action. Ogni messaggio è diventato più grave del precedente. La voce in radio non tradiva panico, ma soltanto l'infinito senso di urgenza. Ci servono gli elicotteri. Ci servono adesso. Poi quella frase inaudita: “We've got people inside the wire!”. Ho perso il contatto con alcuni miei uomini in parti diverse del forte. Sono costretto ad abbandonare il Toc – il Tactical operations center, il cuore di ogni postazioni americana. Sono costretto ad abbandonare gli altri sistemi di comunicazione alternativi, mi rimane soltanto la radio satellitare che ho in mano. Ho riunito gli uomini in un angolo del forte e abbiamo consolidato le nostre difese. I guerriglieri hanno preso completamente la parte afghana del forte e stiamo ricevendo fuoco pesantissimo da lì. C'è stato soltanto un momento in cui il comandante di Cop Keating si è messo a urlare nella radio, ed è quando gli hanno detto che l'appoggio aereo non era ancora vicino: “I'm telling you that if they don't get here fuckin' soon, we're all going to fuckin' die!”. Al netto dei “fuckin'”: se non vi sbrigate, qui siamo tutti morti.
Il comandante di squadrone, all'altro capo della comunicazione, si è imposto di parlare tranquillo. Gli ha chiesto di indicare i Trp, i Target reference points, dentro la base. Dicci dove dobbiamo colpire quando arrivano gli elicotteri. Quali sono i bersagli che hanno la priorità? “Praticamente tutto”. Quando i rinforzi dall'aria sono finalmente arrivati hanno investito i talebani dentro il forte con tutte le armi a disposizione. Non si era mai visto un bombardamento in condizioni d'emergenza su una base americana. E' subito stato chiaro che i bersagli erano così tanti che sarebbero serviti altri rinforzi ancora. Jet ed elicotteri allertati da ogni base a distanza utile hanno cominciato ad arrivare e ad alternarsi nelle passate sul campo.
Sorpresa numero due per gli americani. Anche sotto le bombe e anche quando hanno capito di avere perso il vantaggio e che non sarebbero riusciti a espugnare completamente il forte i guerriglieri hanno continuato ad attaccare. Ma ormai era troppo tardi. I soldati dentro erano riusciti a rompere l'assedio e a contrattaccare, fino a quando non li hanno respinti fuori dal perimetro prima che calasse il buio.
Appena sei giorni dopo la battaglia nel distretto di Kamdesh, gli americani si sono ritirati da forte Keating e anche dal forte gemello Fritshe. I portavoce Isaf hanno spiegato inutilmente che si è trattato di una ritirata già prevista e annunciata da tempo, non causata dagli otto morti e dalla possibilità, per un giorno terribilmente concreta, che i talebani potessero festeggiare la presa di un intero avamposto americano. Ieri la rete satellitare in arabo al Jazeera ha trasmesso in esclusiva un video di propaganda girato dai talebani sulle rovine di Cop Keating. I guerriglieri ovviamente sostengono di essere riusciti a cacciare con la forza gli americani dal primo angolo di Afghanistan; così non è, ma il comando americano ha commesso in ogni caso un terribile errore di comunicazione. Non si annuncia una ritirata, anche se soltanto per questioni di ridisposizione delle proprie forze. E' come invitare l'attacco: se porgi al nemico l'occasione di una facile vittoria di propaganda, quello ti assalta, perché sa che qualsiasi sia l'esito della battaglia stai per andare via e sembrerà una disfatta. Anche al costo di cento uomini lasciati sul terreno, i guerriglieri avevano già vinto in anticipo.
La decisione di ritirarsi dai due forti del Nuristan è stata presa a settembre dal comandante McChrystal dopo un'amara constatazione: mi si chiede di intraprendere una larga campagna di controinsurrezione in tutto il paese, ma non ho abbastanza uomini. Mi si chiede implicitamente di prendere a modello la vittoria del generale David Petraeus in Iraq nel 2008, ma non riesco a ottenere quello che chiedo. Soprattutto, mi si chiede di replicare il successo iracheno ma questa Amministrazione ha l'accortezza di tenermi a distanza: se le cose vanno male, io non sono tutt'uno con Washington come era Petraeus, sarò piuttosto il generale che ha fallito da solo.
Oggi gli americani in Afghanistan hanno scelto di concentrarsi – ma scelta è una parola sbagliata: non potevano fare altro – sulle zone più popolose, sulle città, e di abbandonare il controllo sulle campagne. Anche la riscossa in Iraq era cominciata così, dice chi a Washington è contrario all'invio di altri soldati in Afghanistan. In realtà i due paesi sono profondamente differenti: il settanta per cento degli iracheni vive nelle città, e soltanto il trenta per cento degli afghani. Controllare i pochi, grandi centri non è abbastanza. Del resto non era abbastanza neanche in Iraq: per fermare le autobomba che arrivavano a Baghdad, gli americani furono conquistati a combattere in profondità, metro per metro nelle aree circostanti di campagna, lontane fino a cento chilometri. E i talebani sono maestri nella strategia guerrigliera di Mao Zedong: controllare prima le campagne, tanto le città non possono resistere isolate a lungo.
La battaglia di Fort Keating è stata un disastro, e avrebbe potuto finire anche peggio. Ma è arrivata al momento giusto per illustrare – in modo che più vivido non si può – pochi punti chiari sull'Afghanistan. I talebani non sono un movimento locale con modesti obbiettivi nazionali: l'attacco nel Nuristan è stato condotto da Qari Ziaur Rahman, un comandante afghano addestrato da istruttori arabi e cresciuto con in mente l'ambiziosa ideologia mondialista di al Qaida. Suo padre era un uomo religioso che istruiva Osama bin Laden con lezioni sul Corano, durante il suo primo periodo afghano negli anni Ottanta. I talebani e al Qaida condividono gli stessi obbiettivi strategici e sono un ibrido in via di progressiva fusione. L'attacco a Fort Keating è stato organizzato da entrambe le organizzazioni.
Il secondo punto certo è che la strategia da Armata Rossa “concetrarsi sulle città” non funziona. Dopo l'abbandono dei forti, la zona è diventata un corridoio naturale della guerriglia, tra le aree tribali del Pakistan e il centro dell'Afghanistan. Mentre il presidente americano Obama esita a pronunciarsi sull'invio di altri soldati – terzo punto, non si può aspettare – i talebani hanno preso l'iniziativa, hanno conquistato e ora considerano propria una zona di enorme importanza strategica – che è quella da dove nel 2001 Osama bin Laden sfuggì alla caccia degli americani e si rifugiò in Pakistan. Lunedì prossimo l'Amministrazione dovrebbe sciogliere le riserve e dire se manderà a McChrystal altri uomini. Dalle prime indiscrezioni, sembra che il suo staff stia consigliando al presidente di assecondare il suo generale, con almeno trentamila uomini in più.
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