Perché la Svizzera va al referendum sui minareti

Redazione

Un referendum così non s'era mai visto nelle vallate svizzere, e sì che in quanto a consultazioni popolari gli svizzeri sono degli esperti. Il Partito del popolo (Pps), un movimento conservatore famoso per le campagne al limite dell'oltraggio, chiede agli elettori di sostenere una proposta che impedirebbe ai musulmani di costruire luoghi di culto sul territorio nazionale. Le urne aprono domenica, ma le polemiche sono già cominciate.

    Un referendum così non s'era mai visto nelle vallate svizzere, e sì che in quanto a consultazioni popolari gli svizzeri sono degli esperti. Il Partito del popolo (Pps), un movimento conservatore famoso per le campagne al limite dell'oltraggio, chiede agli elettori di sostenere una proposta che impedirebbe ai musulmani di costruire luoghi di culto sul territorio nazionale. Le urne aprono domenica, ma le polemiche sono già cominciate: nelle strade di Berna e di Zurigo campeggia un manifesto che dice “Stop ai minareti” e mostra una donna in burqa con lo sguardo minaccioso. Secondo il Pps, che ha vinto le elezioni del 2007 con il 29 per cento dei voti, i minareti sono “il simbolo dell'intolleranza islamica”. Il capo del dipartimento per gli Affari esteri, Micheline Calmy-Rey, teme invece che una legge contro le moschee trasformi il paese “in un obiettivo degli estremisti”.

    In Svizzera con i referendum si è votato per ridurre il traffico aereo sulle città e per decidere se è il caso di aumentare i finanziamenti alla medicina alternativa. Questa volta le cose sono diverse perché gli immigrati sono il 20 per cento della popolazione e quelli musulmani contano per il cinque, 400 mila persone, in prevalenza turchi e bosniaci, ma ci sono anche le minoranze arabe. Secondo uno studio del 2000 del governo, l'85 per cento dei musulmani svizzeri non ha grande interesse per le pratiche religiose. Nel paese ci sono 150 moschee e quattro minareti: una legge sull'inquinamento acustico impedisce già di usare gli altoparlanti. L'impatto dell'islam sulla società elvetica aveva fatto discutere anche nel 2004, quando una catena di supermercati ha chiesto alle dipendenti di non indossare il velo. La proposta del Pps ha sollevato le critiche delle associazioni per i diritti umani, che chiedono al paese una prova di modernità. Secondo Amnesty International, la norma anti moschea è un provvedimento poco democratico: “Perché i cristiani possono costruire chiese mentre ai musulmani è vietato fare lo stesso con i loro luoghi di culto? – chiede Nicola Duckworth, responsabile europeo dell'organizzazione – Questa legge rappresenta una discriminazione”.

    L'opinione pubblica è ancora divisa, ma prevale il partito della tolleranza. L'ultimo sondaggio dell'istituto Srg dice che il 53 per cento della popolazione non intende sostenere la proposta, mentre il 34 per cento è per il “sì” (gli indecisi sono al 13 per cento). Il portavoce delle associazioni islamiche, Hisham Maizer, teme che il voto non fermerà la campagna: “Questo dibattito è appena cominciato, non so quale sarà la prossima mossa ma di sicuro non finisce qui”. Il referendum sulle moschee apre un dibattito sulla democrazia, ma gli svizzeri sembrano più preoccupati dalle ripercussioni sul piano economico. “Il voto di domenica può distruggere l'immagine del nostro paese presso i paesi musulmani, il che avrebbe conseguenze negative sull'export”, dice Urs Rellstab, il presidente di Economiesuisse. Dato che la Svizzera è nota soprattutto per le esportazioni di cioccolata e la cioccolata non va fortissimo sui mercati del medio oriente, l'appello di Rellstab si può leggere in questo modo: ragazzi, per favore, cerchiamo di non farci scappare anche i dollari del petrolio. Le iniziative fiscali adottate negli ultimi tempi in paesi come Italia e Stati Uniti sono costate miliardi di dollari alle banche della Confederazione. Berna e Zurigo sono ancora depositi sicuri per i potenti del petrolio arabo, ma la legge contro i minareti mette in pericolo i rapporti con il medio oriente. Lo scorso anno, il paese è rimasto coinvolto in una guerra di ambasciate con la Libia, che ha interrotto le proprie forniture di gas e di greggio. Oggi la sottile diplomazia del denaro passa anche per i minareti alpini dei Grigioni.