Piccoli Lerner crescono
Lo hanno chiamato J-Call – “European Jewish Call for Reason” – ma è la versione in salsa europea di J-Street – la lobby ebraica liberal e pacifista nata nel 2008 in risposta all'American Israel Public Affairs Committee. Ha raccolto l'adesione di tanti intellettuali e commentatori europei, dai Bernard-Henri Lévy ai Gad Lerner, ed è un “appello alla ragionevolezza” per la pace tra Israele e i palestinesi. Ma la ragionevolezza è stata riassunta nella critica al governo del premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
Lo hanno chiamato J-Call – “European Jewish Call for Reason” – ma è la versione in salsa europea di J-Street – la lobby ebraica liberal e pacifista nata nel 2008 in risposta all'American Israel Public Affairs Committee. Ha raccolto l'adesione di tanti intellettuali e commentatori europei, dai Bernard-Henri Lévy ai Gad Lerner, ed è un “appello alla ragionevolezza” per la pace tra Israele e i palestinesi. Ma la ragionevolezza è stata riassunta nella critica al governo del premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Gli intellos impartiscono lezioni sul “futuro di Israele”, ma dimenticano il programma nucleare dell'Iran, i missili Scud consegnati dalla Siria a Hezbollah e i razzi che Hamas continua a lanciare da Gaza. Dicono “siamo al di sopra delle divisioni partigiane”, ma rivendicano di essere “la sinistra ebraica della diaspora”, da non confondere con “la sinistra al governo in Israele”, come spiega al Foglio il professore Zeev Sternhell, uno dei promotori.
L'appello di J-Call, lanciato ieri a Bruxelles da diverse personalità e associazioni ebraiche, è un riassunto di vecchie posizioni ideologiche. Il pericolo per Israele è “l'occupazione e il proseguimento ininterrotto degli insediamenti in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme est, che sono un errore politico e una colpa morale”, recita il testo dell'appello sottoscritto da più di tremila persone. “La sopravvivenza di Israele in quanto stato ebraico e democratico (…) è condizionata alla creazione di uno stato palestinese sovrano e indipendente”. “L'allineamento sistematico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello stato ebraico”.
Domani Israele e Autorità palestinese si preparano a riprendere i negoziati di pace indiretti, congelati dopo le polemiche sui nuovi alloggi a Gerusalemme est. L'Unione europea ha detto di “sostenere” la ripresa del dialogo condotto dall'inviato speciale americano George Mitchell, dopo che Netanyahu ha accettato di mettere “tutte le questioni” sul tavolo, compreso il futuro di Gerusalemme e le frontiere palestinesi. L'utilità di una lobby ebraica pacifista in Europa? Praticamente nulla, sembra riconoscere Elie Barnavi, ex ambasciatore israeliano a Parigi, ora diventato direttore del Museo dell'Europa a Bruxelles, in un'intervista a Le Soir: “Qui in Europa non è necessario” fare come J-Street che deve “convincere i decisori americani”. Le richieste di J-Call, in realtà, sono già contenute in centinaia di risoluzioni dell'Europarlamento, di dichiarazioni della Commissione e di conclusioni dei Consigli dei ministri degli Esteri dell'Unione europea.
Ieri all'Europarlamento, oltre a David Chemla, Zeev Sternhell e Elie Barnavi (tutti militanti di Peace Now), i protagonisti erano il leader dei verdi Daniel Cohn-Bendit e il socialista francese Vincent Peillon. Ma tra i firmatari dell'appello ci sono anche intellettuali che hanno osato infrangere le barriere del politicamente corretto. Bernard-Henri Lévy ha promesso di andare “a Bruxelles a dire ciò che ho sempre detto: la delegittimazione di Israele è uno scandalo; se Israele non si libera dei territori, a termine non sarà più uno stato maggioritariamente ebraico”. Alain Finkielkraut ha firmato perché, “anche se Israele non è il solo responsabile di questa putrefazione, (…) la politica degli insediamenti mette a repentaglio gli interessi tanto degli israeliani quanto dei palestinesi”. Per Haaretz, J-Call è una “voce ebraica benvenuta” perché è una “risposta ai danni che i membri del governo Netanyahu, in particolare il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, stanno facendo agli interessi di Israele” in Europa.
Nato in Francia, l'appello è stato condannato dal Crif, l'istituzione che rappresenta le comunità ebraiche francesi. J-Call “sarà ampiamente usato da quelli che sono i veri nemici di Israele”, ha spiegato il presidente del Crif Richard Prasquier.
E poi: “Gli israeliani hanno bisogno della diaspora ebraica per sapere qual è la decisione giusta?”. Nessuna comunità ebraica britannica ha voluto aderire. Emmanuel Navon, professore all'Università di Tel Aviv, ha risposto sul suo blog sul Jerusalem Post: “Barnavi e i suoi amici stanno puntando il loro dito accusatore contro la persona sbagliata (...). Restando compulsivamente attaccati alla loro ideologia fallimentare, i firmatari di J-Call non sono meglio delle loro bestie nere politiche. Il messianismo politico, di destra o di sinistra, è sempre cattiva fede. J-Call è un appello alla cattiva fede”.
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