Il pizzo rosso dopo ogni vittoria
La vittoria storica di Francesca Schiavone al Roland Garros
Francesca Schiavone trionfa al Roland Garros. La 29enne milanese ha vinto il torneo parigino superando in finale l'australiana Samantha Stosur per 6-4, 7-6 (7-2) in 1h38'. La Schiavone è la prima tennista italiana ad aggiudicarsi un torneo del Grande Slam.
di Tonino Bettanini
Francesca Schiavone trionfa al Roland Garros. La 29enne milanese ha vinto il torneo parigino superando in finale l'australiana Samantha Stosur per 6-4, 7-6 (7-2) in 1h38'. La Schiavone e' la prima tennista italiana ad aggiudicarsi un torneo del Grande Slam.
Nell'aforisma 66 delle sue “Philosophical Investigations”, Ludwig Wittgenstein parla di tennis e della natura hierarchical del vincere e del perdere. “Think of the way one wins or loses in tennis. Winning is hierarchical. One can win a point, but lose the game. One can win the game, but lose the set. And one can win the set, but lose the match. One can win the match but lose the tournament”. Non solo – aggiungiamo noi – il tennis è anche il gioco in cui “chi sbaglia paga” pegno e punto all'avversario e dove il tempo può trasformarsi in una vera croce. Pensate che John McEnroe, nel 1982 a Saint Louis, impiegherà 6 ore e 22 minuti per liberarsi dello svedese Mats Wilander, mentre al nostro Omar Camporese, dieci anni dopo, a Maceiò in Brasile, ci vorrà poco meno: 6 ore e 5 minuti, per battere tal Luis Mattar. E che infine abbia proprio ragione Wittgenstein ce lo dimostra ancor più un aneddoto che Sandro Picchi racconta di Nicola Pietrangeli.
“Susanna butta la pasta che è cotto”, dice Nicola a sua moglie, seduta sulle tribune del Porro Lambertenghi, il campo centrale del Tennis Club Milano, dove si sta disputando la finale per il titolo italiano di singolare. E' il 1961. L'avversario di Pietrangeli, quello “cotto” appunto, è Fausto Gardini, tornato al tennis dopo cinque anni di inattività: per una promessa fatta il giorno del fidanzamento a un suocero che lo vuole con la testa a posto, finalmente, casa e lavoro. Cinque anni dopo, la morte del suocero lo scioglierà dalla parola data e da quella lontananza forzata. Dunque Gardini sta perdendo 5-3 e 40-0 nel set decisivo. Combattente straordinario, ferito dalle parole di Pietrangeli, Fausto si scatena, annulla otto match-point, vince l'incontro e nello stringere la mano all'avversario gli sussurra: “La pasta la butto io”. Da tutto ciò finalmente capirete quanto sia cretino chi pensi al tennis come a uno sport da signorine e quanto maschiacci debbano essere le donne che raggiungono una finale del Roland Garros.
Il tempio della terra rossa, intitolato al pioniere dell'aviazione francese, inaugurato nel 1928 con i moschettieri di Francia che spazzolano 4 a 1 gli Stati Uniti, ha visto Francesca Schiavone in finale e vittoriosa. E non per caso quindi, Francesca – appena 1,64 di altezza contro quei marcantoni delle sorelle Williams – è soprannominata leonessa perché sa dominare assieme alle gazzelle russe tutto il cagotto che certamente ti mette calcare la terra del mitico Philippe Chatrier, il campo centrale che ha visto giocare le leggende del tennis. Quattro anni consecutivi nella top 20 del ranking mondiale (dal 2003 fino al 2006, anno in cui è n° 11 ), Francesca ha già conosciuto una sfortunata finale, ma di doppio, a Roland Garros nel 2008, mentre il suo 2009 ha come migliori risultati la vittoria a Mosca, i quarti di finale a Wimbledon e il trionfo in Fed Cup contro gli Usa. Non bella, nei media di oggi pochi resistono a ripescare la favola del “brutto anatroccolo”, Schiavone ha infilato la russa Kulikova (5/7;6/3;6/4), l'australiana Ferguson (6/2;6/2), la cinese Na Li (nr 11: 6/4;6/2), la russa Kirilenko (nr 30 6/4;6/4) e la danese Caroline Wozniacki (6/2;6/3) . E' qui che abbiamo cominciato a sognare e quel “Forza Schiavone!” con cui il prestigioso Equipe del 3 giugno saluta l'“exploit historique” dell'italiana, conferma che il motore della macchina mediatica potrà finalmente tornare a scaldarsi al sole dei ricordi, delle imprese italiane dimenticate.
Dietro a Francesca, giunta al bordo dei trent'anni, si srotola ora il nastro di un'Italia del tennis che credevamo sepolta e che rialza la testa. E' quel nastro bianco che le abbiamo visto arrotolare lungo il manico della sua Babolat giallo-nera prima della vittoriosa semifinale contro la Dementieva. Non parliamo soltanto del tennis delle donne, così avaro di successi (se solo Silvana Lazzarino, prima, raggiunge la semifinale del Roland Garros 56 anni fa), ma anche di quello maschile: a Parigi 1 volta in finale con De Stefani nel '32, 4 volte con Pietrangeli (2 vittorie nel '59 e '60; 2 sconfitte nel '61 e '64) e l'ultima, un successo, con Panatta nel 1976. E' da quest'ultima vittoria che si misura la grandezza dell'impresa di Francesca a cui si aggrappa ora il movimento di un tennis italiano che negli ultimi trent'anni ha conosciuto soltanto le affermazioni delle racchette “rosa” (assieme a Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Sara Errani) in Federation Cup , la Davis femminile vinta per la prima volta nel 2006 a Charleroi contro il Belgio, persa in finale l'anno seguente, contro le russe a Mosca, rivinta nel 2009 contro gli Usa che affronteremo prossimamente ancora in finale-2010. Intendiamoci: “soltanto” non significa disconoscere i meriti. Ma certo la chimica di una gara a squadre, che spesso le star del tennis disertano, è un vero mondo a parte rispetto alla solitudine del grande torneo. E tuttavia è dentro questa squadra femminile che cresce e si alimentano anche la vittoria di Francesca e i suoi sogni.
Con rare, sia pure importanti eccezioni, questa winning Italy, nello sport come nella vita, si affida ormai prevalentemente alle donne. Nel nuoto come nella scherma, nella pallavolo, nei molti sport dove la fatica accompagna il talento, la disciplina e il carattere sposano la voglia di vincere. Certo è irrimediabilmente lontano il tennis che si affidava alla classe e al “braccio”, quello che Nicola Pietrangeli – cosi nemico della ginnastica – rinforzò con un bicchiere di vino il mattino in cui il match di Davis contro la Germania, interrotto il giorno prima per l'oscurità, riprendeva, con lui sotto: 4 a 3 al quinto set. Francesca, n° 17 al mondo, ma ancora per poco, è le due cose, cioè forza e talento, e per questo vince. Ancora ci fa vedere il rovescio con una mano sola (one handed backhand). E questo suo torching backhand conserva ancora l'imprinting di un tennis italiano altrimenti perduto.
La guardi sul video di YouTube mentre compie il lento rituale che prepara la partita. Poi nella rassegna di colpi e punti del match: a inseguire la palla, quasi appendendosi, scivolando lateralmente sulla terra amica, per rientrare al centro e subito comandare il gioco con un rovescio profondo che apre il campo avversario e prepara il punto, seguendo il colpo verso la rete, con una palla morbida appena accompagnata. Ha chiuso. E lascia il campo con un curioso pizzo rosso sul mento, di quella terra rossa che ha preso a baciare dopo ogni vittoria.
di Tonino Bettanini


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