Sull'asse Roma-Berlino
Ecco tutti gli attriti noti e meno noti tra Merkel e Berlusconi
C'è chi assicura che tutto iniziò nel settembre 2005, quando le elezioni tedesche si conclusero al fotofinish tra Angela Merkel (partita nei sondaggi con venti punti di vantaggio) e Gerhard Schröder, cancelliere socialdemocratico uscente. “Avete visto come Schröder, un leader in gamba, ha messo sotto la Merkel in tv?”, commentò Silvio Berlusconi.
C'è chi assicura che tutto iniziò nel settembre 2005, quando le elezioni tedesche si conclusero al fotofinish tra Angela Merkel (partita nei sondaggi con venti punti di vantaggio) e Gerhard Schröder, cancelliere socialdemocratico uscente. “Avete visto come Schröder, un leader in gamba, ha messo sotto la Merkel in tv?”, commentò Silvio Berlusconi. Nonostante la comune militanza nel Partito popolare europeo – o forse anche per le gelosie da quella derivanti – la fredda “Ossi”, la ex ragazza dell'est di famiglia luterana e che, a sentire i pur progressisti commentatori del New Statesman, “resta un tipico prodotto del comunismo”, già sgambettatrice del suo mentore Helmut Kohl, al Cav. non era istintivamente troppo simpatica. Meglio Schröder, socialdemocratico ma tifoso di calcio, birra, bella vita.
E con un debole per gli stessi business che piacciono a Berlusconi: da lì a poco la Merkel avrebbe sbarcato l'Spd dalla Grosse Koalition, e Schröder avrebbe accettato l'offerta di Vladimir Putin di presiedere il gasdotto North Stream, della Gazprom, complemento nordico del South Stream al quale il Cav. e Putin lavorano da anni. Non è un caso che nell'ottobre 2009, alla festa di compleanno di Putin nella dacia sul lago Valdai, Berlusconi era invitato assieme a Schröder, esattamente come i tre si erano incontrati nel 2007 per brindare a grandi progetti energetici. Ma alla Merkel queste triangolazioni tra Russia, centrodestra italiano e sinistra tedesca sono sempre andate indigeste. D'altronde i dossier sui quali è aumentata la distanza tra Roma e Berlino non sono pochi: la tassa sulle banche e gli sforzi internazionali per regolare i mercati finanziari, la gestione comune della crisi dei debiti sovrani, le nomine alla Bce. Ma tra le partite industriali, la più rilevante resta quella che si gioca sull'energia. Non che Merkel sia contraria agli affari con Putin e soci: però, secondo gli analisti dello Spiegel, vorrebbe averne lei il controllo, e questo spiega perché si è battuta per nominare un uomo di stretta fiducia, il semisconosciuto Günther Oettinger, commissario europeo all'Energia.
Oettinger si è messo al lavoro, finora senza risultati eclatanti: nel consorzio South Stream pochi giorni fa è entrata contro il volere tedesco la francese Edf, partner dell'Enel nel piano nucleare italiano; nel North Stream è approdata l'altra transalpina GdF-Suez, proprio rilevando una quota dalle tedesche Basf ed E.On. Quest'ultima si è candidata ad essere capo della cordata “privata” nel nucleare italiano, giocando contro l'alleanza Enel-Edf e, tra i costruttori di centrali, Areva-Ansaldo. E.On punta su un accordo con le municipalizzate come A2A, sui privati e sulla tecnologia Westinghouse. Da Dusseldorf il ceo Wulf Bernotat, che due anni fa si è scontrato proprio con l'Enel per l'opa sulla spagnola Endesa, non nasconde però lo scetticismo: “Difficile in certi paesi competere contro le aziende pubbliche”.
Ma torniamo a quella battuta berlusconiana dell'autunno 2005. Prontamente riferita dall'allora ambasciatore Michael Gerdts, costituì il primo problema per Antonio Puri Purini, neonominato rappresentante italiano in Germania dopo anni al Quirinale come consigliere diplomatico di Carlo Azeglio Ciampi. Puri Purini, forte dei trascorsi germanofili ciampiani, pensava di andare sul velluto. Invece dovette spiegare e rispiegare le bizzarrie (per i tedeschi e per la Merkel) del Cav. Una fatica che lo ha accompagnato fino al termine del mandato: nel 2008, tornato Berlusconi a Palazzo Chigi, la Farnesina gli impose di respingere le critiche in via definitiva, e lui inviò alla Süddeutsche Zeitung due cartelle intitolate “Questo amore non è affatto perduto”, dense di citazioni da Richard Wagner a Giacomo Puccini, dall'Unicredit a Luca Toni, allora centravanti del Bayern. Fino a planare sulla “convinzione con la quale l'Italia era stata a fianco della Germania nel semestre di presidenza europea”. Solo che in quel semestre, nel 2007, capo del governo era Romano Prodi e ministro del Tesoro, Tommaso Padoa-Schioppa: entrambi ben visti nei circoli berlinesi. TPS, poi, per otto anni rappresentante italiano nel board della Bce, aveva stabilito un asse con Otmar Issing, designato dalla Bundesbank. A Palazzo Chigi oggi l'aria è cambiata e i governi Prodi vengono definiti “supini ai voleri tedeschi”. Il Cav., invece, racconta mille volte di come abbia convinto in extremis la Merkel a salvare l'euro, tra telefonate notturne e triangolazioni con Nicolas Sarkozy e Barack Obama.
“Questi due signori qui hanno fatto gli straordinari…”, ha detto il Cav. riferendosi all'impegno europeista suo e del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che annuiva pur avendo grande rispetto per il collega tedesco Wolfgang Schäuble, ma più confidenza con la francese Christine Lagarde. Resta il fatto che Tremonti aveva suggerito dall'inizio di coinvolgere il Fondo monetario internazionale, contro l'opinione tedesca, e di convincere la Bce a comprare titoli a rischio, ancora peggio per la Germania, la Bundesbank e il suo numero uno Axel Weber, il super-falco teorico dell'euro a due velocità. Fmi e Bce sono entrambi entrati in campo, soprattutto per volere della Francia e su pressioni americane; ma l'Italia si è un po' intestata il successo e, giura qualcuno, la Germania non l'ha ancora digerita. Per la Merkel il girone di ritorno doveva essere costituito dal rigore teutonico esteso a tutta Europa, vincoli costituzionali inclusi. Un susseguirsi di annunci unilaterali, allarmi e profezie di sventura che ha spaccato governi e mondo accademico. Nouriel Roubini, economista famoso tra l'altro per aver previsto la crisi dei subprime, afferma che “un eccesso di regole, come quelle che la Germania chiede, può compromettere la ripresa europea”. Secondo Paul Krugman, Nobel per l'Economia nel 2008 ed editorialista del New York Times, “è nata una nuova professione: i profeti dell'austerity”. Da parte italiana Luigi Zingales, mai tenero con Tremonti, paventa però “l'insolvenza di una grande banca internazionale, il peggior incubo che incombe sull'economia mondiale”, e a quel punto “si dovrebbe chiedere l'intervento d'urgenza del Fmi, tanto più se la banca è europea”.
Giacomo Campora, amministratore delegato di Allianz Bank, controllata italiana del colosso di Monaco di Baviera, va più sul concreto: “Il governo tedesco ha già ottenuto di indebolire l'euro, facilitando il proprio export anche a scapito della domanda interna”. Ma è davvero questo l'obiettivo della Cancelleria? Di sicuro è la questione più dibattuta tra Berlino e Roma. “Il perché è chiaro” dicono alla Confindustria: “La Germania ha un surplus commerciale di 13,4 miliardi; con la crisi ci ha rimesso il 6 per cento, che ora intende recuperare con il calo dell'euro. L'Italia, che era in attivo, ha un deficit di 1,4 miliardi. E poiché la Germania è il nostro primo partner commerciale, ma entrambi ce la giochiamo fuori d'Europa, non ci vuole molto a trarre le conclusioni”.
Il fronte attualmente più caldo è quello delle banche. Berlino ha proposto la tassa sulle transazioni finanziarie, Berlusconi ha espresso i suoi dubbi, definendo l'idea “ridicola e contraria agli interessi nazionali”. Non solo: non è un caso che Roma non sia tra le capitali firmatarie di una lettera resa nota ieri, nella quale Gran Bretagna, Francia e Germania annunciano la prossima entrata in vigore – nei rispettivi paesi – di una nuova tassa sulle banche. L'obiettivo è che anche al G20 ci sia un pronunciamento in questo senso.
La Banca d'Italia poi si è detta pronta a pubblicare gli stress test sui nostri istituti, ed Alessandro Profumo, ad dell'Unicredit, sfida i tedeschi: “Noi non abbiamo alcun timore”. Sugli stress test però c'è una frenata proprio della Merkel: “Potrà avvenire, ma su base volontaria”. D'altra parte il governo federale ha iniettato nel capitale delle proprie banche qualcosa come il 3,8 per cento del pil tedesco, contro lo 0,6 dell'Italia. E la Banca dei regolamenti internazionali ha appena pubblicato le cifre dell'esposizione internazionale verso i paesi a rischio, Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda: “Le banche francesi e tedesche sono esposte per 958 miliardi di dollari, ben oltre la metà del totale mondiale: 493 miliardi le francesi, 465 le tedesche”. Mentre Wolfgang Münchau, cofondatore del Financial Times Deutschland, ricorda i debiti imponenti dei land: “Una bomba ad orologeria. Per farvi fronte servirebbe un terzo del pil”. La sua tesi è che Berlino alzi la voce per coprire le proprie magagne interne: “Ma neppure l'Italia può fare prediche finché non avrà comportamenti credibili nel tempo”.
Una fonte del governo assicura che si può giocare questa partita: “Se vogliamo vedere le carte, vediamole”. Chi è vicino al Cav. giura che non è stata dimenticata la sconfitta nelle nomine europee di un anno fa, quando Berlusconi dava per sicuro Mario Mauro alla presidenza del Ppe a Strasburgo, e invece la Merkel appoggiò il gollista francese Joseph Daul. La conflittualità attuale potrebbe portare a rilanciare la sfida proprio con Draghi per la Bce. Un rischio troppo alto?
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