Cento di questi Verdini
Non è scontato che la verità pronunciata da Denis Verdini, “la mia verità, che è la verità”, lo renda libero dalla muta dei magistrati e dai latrati dei complottisti innamorati del teorema pitreista. Certamente è una verità che lo rivela convincente, perché schietto, coraggioso e simpatico anche a chi fino a ieri giudicava i pasticci nei quali è rimasto invischiato come un certificato informale di colpevolezza. Invece di accettare il ruolo sacrificale cui vorrebbero costringerlo nemici interni ed esterni, il coordinatore del Pdl ha esposto, risposto e spiegato le ragioni per le quali la così detta P3 è una delle più colossali minchiate ideologiche dei nostri tempi.
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Non è scontato che la verità pronunciata da Denis Verdini, “la mia verità, che è la verità”, lo renda libero dalla muta dei magistrati e dai latrati dei complottisti innamorati del teorema pitreista. Certamente è una verità che lo rivela convincente, perché schietto, coraggioso e simpatico anche a chi fino a ieri giudicava i pasticci nei quali è rimasto invischiato come un certificato informale di colpevolezza. Invece di accettare il ruolo sacrificale cui vorrebbero costringerlo nemici interni ed esterni, preferibilmente avvolgendolo nel sudario di un silenzio già di suo sospetto, il coordinatore del Pdl – partner editoriale di questo giornale – ha scelto di convocare i giornalisti di ogni ordine e grado – compresi i poliziotti di complemento al servizio delle solite procure editoriali – e ha esposto, risposto e spiegato le ragioni per le quali la così detta P3 è una delle più colossali minchiate ideologiche dei nostri tempi.
E che per giunta nemmeno lo riguarda direttamente, a giudicare dalla cronologia dei suoi incontri, dei suoi pranzi, delle sue telefonate barbaramente, illegalmente propalate a mezzo stampa dalle procure quelle vere. E' stato compiuto un reato? Quale? Lo si provi, dunque, assumendosi l'onere di dimostrare che uno dei più banali (e inefficaci) crocevia di persuasione e promozione lobbistico-politica corrispondeva alla resurrezione aggiornata della P2 di Licio Gelli; che gli assegni maneggiati da Verdini erano “incassati” o “negoziati” per fini personali anziché semplicemente “versati” per conto terzi come chiunque fa. In mancanza di precise fattispecie, pistole fumanti e reati conclamati, di questa storia non resterà che il brogliaccio di un cattivo romanzo nero nel quale tre procure – “la 3P, ironizza Verdini e si guadagna altri punti a favore – girano intorno a una bischerata accompagnati dal coro di una turba di giornalisti allucinati.
Questo, nell'essenza, il messaggio di Verdini, rivolto al pubblico dopo essere stato verbalizzato dai giudici: mai stato in una rete segreta, mai toccato un soldo, mai scaricato Dell'Utri perché è un amico e non c'è nessuna piazzola dell'illegalità nella quale scaricarlo. Il messaggio dell'onorevole Verdini è corredato da una postilla sulla delusione per non essere stato protetto dal “suo” presidente Gianfranco Fini. Ma, a giudicare da quello che si è visto e ascoltato ieri, Verdini da solo vale cento dei suoi accusatori.
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