A cercar la bella destra/ 2

Dice Pino Rauti che (da Fiuggi in poi) il vero leader dei missini è il Cav.

Redazione

“Non si dovrebbe lamentare, proprio lui che dentro Alleanza nazionale era un dittatorello”. Pino Rauti, 84 anni a novembre, è rotondamente irritato da Gianfranco Fini da almeno trent'anni, da quando cioè il pupillo di Giorgio Almirante cominciava la scalata al partito che solo il fondatore di Ordine Nuovo tentò, con breve successo, di contestargli. All'epoca le posizioni erano invertite: Rauti era l'eretico, Fini il garante della tradizione.

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di Marco Palombi

    “Non si dovrebbe lamentare, proprio lui che dentro Alleanza nazionale era un dittatorello”. Pino Rauti, 84 anni a novembre, è rotondamente irritato da Gianfranco Fini da almeno trent'anni, da quando cioè il pupillo di Giorgio Almirante cominciava la scalata al partito che solo il fondatore di Ordine Nuovo tentò, con breve successo, di contestargli. All'epoca le posizioni erano invertite: Rauti era l'eretico, Fini il garante della tradizione. “Vorrei ricordare a Servello che quando ero segretario del Msi, e lui mio vice, noi tentavamo di rinnovare il partito mentre Fini diceva: sulla mia fronte c'è scritto fascista”. Era la breve stagione della leadership di Rauti, terminata in un disastro elettorale 18 mesi dopo la vittoria del congresso di Rimini del gennaio '90.

    Oggi però, per una sorta di nemesi, attorno al presidente della Camera si ritrova buona parte dell'antica gioventù rautiana allergica alla fascisteria dei labari e dei gagliardetti: “E' sconcertante – ammette l'anziano leader – Non li riconosco. Non so che fine abbiano fatto le cose che diceva Moffa quand'era federale a Roma per mio conto”. Posizioni di forte sapore socialista – nazionale sia chiaro – e ambientalista, senza contare qualche non garbata antipatia personale. Gli aneddoti giovanili, in giro, si sprecano: Pasquale Viespoli per dire, oggi capogruppo finiano in Senato, nel 1977 prese a schiaffi il suo attuale leader che – da capo del Fronte della Gioventù – voleva impedire lo svolgimento del Campo Hobbit a Montesarchio.
    “Oggi l'ambizione, anche culturale, di Fini è quella di costruire un'idea nuova di destra, ma s'è messo su una strada sbagliata”, spiega Rauti. E la strada è sbagliata fin dal 1995 di Fiuggi: “Quella è la grande cesura”, dopo la quale la destra di massa è il Cavaliere: “Un prodotto politicamente nuovo che s'è insediato su un consenso preesistente. E lo ha rafforzato parecchio”.

    Il dissidio tra i due adesso, “al contrario di quanto crede Servello”, non è affatto personale, né contingente: “Ci sono diversità di fondo, eccome: basti pensare all'immigrazione, alla cittadinanza, alla bioetica. Non mi pare che Fini si stia rifacendo alla tradizione della destra, neanche missina”. In realtà, insiste, “non fa altro che riaffermare la sua antica vocazione allo sfascio”, l'unica vera costante della sua politica. “Non nego che nel mio giudizio possano pesare le storie passate”, concede l'anziano teorico dello sfondamento a sinistra, ma “Fini lo conosco fin da ragazzo e posso parlare di lui con cognizione di causa”. Prendiamo la casa di Montecarlo: “O sapeva, ed è grave, o non sapeva, ed è ancora più grave. La scelta è solo tra immoralità e ignoranza”. A questo punto, però, la strada è obbligata: “Se vogliono essere coerenti devono fare un partito”, certo “a quel punto bisognerà riconsiderare il ruolo del presidente della Camera: ci sarebbe una forte discrasia tra il processo che ha portato Fini su quella poltrona e la situazione che si verrebbe a creare”.

    Non c'è niente che piaccia, a Rauti, di questo “sgomitare” del suo ex rivale per delle “piccolezze”, nemmeno il tema della legalità, “giusto, purché non sia agitato con puntigliosa pretestuosità”. Il Cavaliere, spiega, “è senza dubbio sotto attacco delle procure, c'è un andazzo inquisitorio contro di lui, quindi è normale che si difenda. E parla uno che con i pm ha avuto e ha a che fare: pensi che ancora adesso sono sotto processo per la strage di Brescia senza essere stato nemmeno interrogato”. Nonostante siano distanti anni luce, l'ex missino (e ordinovista e membro dei Far e fan dei colonnelli greci, una sorta di antologia del postfascismo repubblicano) ha una simpatia istintiva per Silvio Berlusconi: “L'ho incontrato molte volte e sempre da parte sua c'è stata stima e cordialità. Notava sempre ironicamente che ho molti capelli e io gli rispondevo che era l'unica cosa che avevo più di lui. Spero di vederlo a settembre, voglio capire che succede, ma comunque prima incontrerò Gianni Letta, un vecchio amico: quando io ero caposervizio al Tempo, lui era corrispondente da Avezzano”. Il premier peraltro, quali che siano i suoi difetti, “anche solo da un punto di vista di strumentalità oggettiva, ha un enorme merito storico: ha bloccato e, in qualche caso spazzato via, l'egemonia culturale della sinistra che durava fin dal 1945”. Un Cav. vendicatore degli ex fascisti, che adesso rischia per loro mano: “I propagandisti di Fini sono molto abili; se gli si dà il tempo di organizzarsi e crescere ancora, il logoramento di Berlusconi è inevitabile”.

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    di Marco Palombi