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Risorgimento addio
Ragazzi, che nervosismo! E che parole pesanti! C'è chi mi dà del politologo inesperto (Villari, sulla Repubblica: politologo, poi: che stramberia…); chi mi tratta da lamentoso puerile (Galli della Loggia); chi dice che sono un antiliberale (Ostellino); chi non manderebbe il figlio a scuola da me (Pennacchi). Suvvia, signori, un po' di calma. In fondo le cose sono abbastanza semplici, e stanno così: sono uno storico.
di Alberto Mario Banti
Ragazzi, che nervosismo! E che parole pesanti! C'è chi mi dà del politologo inesperto (Villari, sulla Repubblica: politologo, poi: che stramberia…); chi mi tratta da lamentoso puerile (Galli della Loggia); chi dice che sono un antiliberale (Ostellino); chi non manderebbe il figlio a scuola da me (Pennacchi).
Suvvia, signori, un po' di calma. In fondo le cose sono abbastanza semplici, e stanno così: sono uno storico; nel mio lavoro di ricerca osservo aspetti della cultura politica risorgimentale sui quali, ovviamente, non ho alcun giudizio di valore da esprimere: non mi passa nemmeno lontanamente per la testa di dire: “Hanno vinto i moderati, ma sarebbe stato meglio avessero vinto i democratici”; oppure: “L'idea di nazione del Risorgimento è così, ma sarebbe stato meglio fosse cosà”: i numerosi libri che ho pubblicato lo testimoniano. No, francamente, niente di tutto ciò; niente giudizi di valore; faccio ciò che deve fare uno storico: ricostruisco e descrivo ideologie e pratiche politiche di un tempo passato, che è quello ottocentesco, nel modo più distaccato che posso. Dopodiché, da intellettuale che vive nell'Italia del 2010, osservo anche il tentativo di fare del Risorgimento il mito fondativo della nostra attuale Repubblica; e sulla base delle mie ricostruzioni avanzo dubbi sulla opportunità di una simile operazione, per le seguenti ragioni:
1) Il movimento risorgimentale è un movimento molto diviso al suo interno. Lo sappiamo da sempre, da Gobetti, da Gramsci, da Croce, da Romeo, da Candeloro ecc. La mia affermazione è una pura banalità storiografica, lo riconosco: ma è opportuno ripeterla. Le faglie che attraversano il movimento mettono di fronte repubblicani e monarchici; democratici e moderati; centralisti e federalisti. Non si tratta di contrasti negoziabili. Sono contrapposizioni profonde, insanabili, tali per cui o vince una parte o vince l'altra. Queste fratture sono così drammatiche che Mazzini, quando muore a Pisa nel 1872, è ricercato dalla polizia del regno d'Italia: ovvio, lui è un repubblicano e si teme possa adoperarsi per organizzare insurrezioni volte a rovesciare l'assetto monarchico del nuovo stato. Così stando le cose, se vogliamo celebrare il Risorgimento come momento fondativo, che cosa vogliamo celebrare esattamente: il Risorgimento moderato o quello democratico? Quello monarchico o quello repubblicano? Lo Statuto albertino o la Costituzione della Repubblica romana? Bisognerebbe chiarirsi sul punto: perché celebrare tutto allo stesso modo non mi sembra si possa, “per la contraddizion che nol consente”.
2) Al di là di ciò è l'intera cultura politica ottocentesca che è molto distante dalla sensibilità attuale. Se io, per esempio, osservo che quella cultura politica è fortemente misogina; che esclude le donne dalla trasmissione della cittadinanza (uno diventa cittadino del regno d'Italia perché è figlio di padre cittadino: la madre non trasmette nulla dal punto di vista giuridico); se osservo che sia la cultura politica democratica che quella liberal-moderata escludono le donne dalla vita politica; non intendo dire: “Ah, che disdetta, l'Ottocento non è come io lo vorrei”; non lo voglio in nessun modo; lo descrivo; e giungo alla conclusione che c'è uno iato antropologico profondo tra quella cultura e la nostra; ragione per cui ritengo che sia difficile fare del Risorgimento e del regno d'Italia un mito fondativo per l'oggi. Può il mito di fondazione di una Repubblica richiamarsi a una monarchia guidata da un'élite politicamente misogina e – aggiungiamo un altro tratto – tenacemente restia ad ammettere al gioco della politica chi non fosse oltre che maschio e adulto, anche molto ricco (e alfabetizzato)? Secondo me, no. Se c'è chi la pensa diversamente, benissimo: ma temo debba distorcere di molto la realtà dei fatti per far apparire la cultura politica ottocentesca come qualcosa di “attuale” e coerente con i valori della nostra Repubblica.
3) Se il movimento risorgimentale è diviso per quel che concerne le proposte politico-costituzionali è invece unito, in tutte le sue componenti, intorno al moderno concetto politico di nazione italiana. Si tratta di un concetto che non esiste affatto prima della fine del Settecento e che deve essere animato da valori, simboli, miti, narrazioni tali da renderlo persuasivo (e questo è un processo che riguarda tutto il pensiero nazionalista occidentale, non solo quello italiano, come hanno magistralmente spiegato George L. Mosse e Benedict Anderson). Nel processo di costruzione dell'idea di nazione italiana hanno uno speciale rilievo alcune figure simboliche fondamentali. Due, in particolare, vanno ricordate qui. In primo luogo, la nazione viene considerata una comunità di discendenza, una famiglia allargata, una parentela, basata in primo luogo sui legami di sangue, poi sul possesso di un suolo specifico, e poi su una comunanza di cultura e di memorie: alla base di tutto ciò vengono collocati i legami genealogici nel quadro di una concezione biopolitica della nazione. Secondo aspetto: se il sangue è il cemento fondativo, tale concezione trova una essenziale corrispondenza funzionale nell'idea di sacrificio; i militanti del movimento risorgimentale – dicono i leader – devono essere pronti a soffrire, fino alla morte in battaglia, per poter diventare “martiri” del movimento. La retorica cristologica e martirologica del nazionalismo italiano risorgimentale e post-risorgimentale è fondamentale per la costruzione del discorso nazional-patriottico. Ed è ciò che gli conferisce una peculiare aura parareligiosa. Ne deriva una sorta di complessiva mistica del sangue: quello che unisce tra loro gli appartenenti alla comunità nazionale; e quello che riscatta, libera, vivifica, che è il sangue versato per la patria. Ora se questa mia descrizione è sbagliata, vabbeh, non c'è nient'altro da dire. Ma se è giusta, c'è parecchio da dire: ovvero, di nuovo: può un movimento politico come quello risorgimentale, mosso da una simile concezione della nazione, essere considerato il fondamento della vita pubblica dell'odierna Repubblica italiana? Tradotto: vogliamo ancora oggi celebrare un simile nazionalismo?
4) Domanda che appare più stringente se si considera – come io faccio – che l'idea di nazione che si costruisce nel Risorgimento disegna una matrice ideologica che resta intatta nell'Italia postunitaria, e che anima anche il nazionalismo fascista. A questo riguardo sian chiare due premesse: non intendo dire che tutto il Risorgimento “causa” il fascismo, che sarebbe una pura scemenza: le varie componenti del movimento risorgimentale vogliono costruire uno stato dotato di istituti rappresentativi, delineando con ciò un modello politico che il fascismo respinge. E sia chiaro anche che il nazionalismo fin de siècle o quello fascista acquistano un'aggressività espansiva che il nazionalismo risorgimentale non aveva. Ma – e questo è il mio punto – le trasformazioni attraversate dal discorso nazionalista dal 1861 al fascismo, leggi razziali comprese, crescono come armoniche gemmazioni che derivano dalla matrice discorsiva fondamentale: il sangue, il suolo, il martirologio bellico. Se è così, ha senso celebrare l'esperienza risorgimentale? Cioè, ha senso celebrare un'idea di nazione che, nata col Risorgimento, ha attraversato la storia d'Italia sino a dare al fascismo una parte essenziale dei suoi simboli e dei suoi valori? Beh, io non ho dubbi, e francamente penso proprio di no.
di Alberto Mario Banti
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Il dibattito sul Risorgimento, innescato dal libro di Alberto Mario Banti “Nel nome dell'Italia” (Laterza), è iniziato sul Foglio il 20 novembre. Il 23 novembre è intervenuto lo storico Giovanni Sabbatucci, il giorno dopo Ruggero Guarini e Camillo Langone, il 25 Ernesto Galli della Loggia e Piero Ostellino, il 26 Sandro Consolato, il primo dicembre Lucy Riall e Antonio Pennacchi, il 10 dicembre Alfonso Berardinelli e Giuliano Amato.
Tra tutte le manifestazioni per celebrare l'unità d'Italia, Sky ha indetto il concorso "Buon compleanno Italia": il progetto prevede la realizzazione di un video della durata massima di tre minuti che abbia come tema centrale l'Italia e cosa significa essere italiani oggi. I migliori andranno in onda su Sky Uno a marzo.


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