Lo zampino di Teheran
Attenzione all'Iran che allunga le mani sulla piazza egiziana
Una rivolta sociopolitica contro l'oppressione, la corruzione, la repressione, la fame e lo spreco del potenziale del paese”. Così il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha definito la piazza egiziana e la sua pretesa di cacciare il rais Mubarak. Se dietro a queste parole non ci fosse un progetto chiaro e pericoloso – allargare la propria influenza sino a un territorio ora ostile e isolare Israele per colpirlo meglio – il discorso del capo del Partito di Dio sciita libanese farebbe quasi sorridere.
Una rivolta sociopolitica contro l'oppressione, la corruzione, la repressione, la fame e lo spreco del potenziale del paese”. Così il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha definito la piazza egiziana e la sua pretesa di cacciare il rais Mubarak. Se dietro a queste parole non ci fosse un progetto chiaro e pericoloso – allargare la propria influenza sino a un territorio ora ostile e isolare Israele per colpirlo meglio – il discorso del capo del Partito di Dio sciita libanese farebbe quasi sorridere: i ragazzi egiziani non sono forse molto simili ai ragazzi iraniani che, nel 2009, tentarono di scalfire – finendo ammazzati o rinchiusi nelle carceri – il potere degli ayatollah?
Per Nasrallah non c'è alcuna similitudine, anzi, l'occasione è talmente gustosa che il capo di Hezbollah rinuncia addirittura alla solita retorica sull'ingerenza straniera, sulla volontà occidentale di mettere bocca in affari non suoi, celebrando soltanto quei giovani coraggiosi che si ribellano al regime. Non c'è alcun complotto straniero ai danni di un regime mediorientale, in questo caso. A Teheran, anche il presidente Ahmadinejad festeggia quando sente la piazza del Cairo che urla a Mubarak di andarsene, si emoziona quando vede questo popolo che si batte per la libertà e si eccita quando pensa che, mentre la comunità occidentale s'occupa d'Egitto, la Repubblica islamica lancia in orbita quattro satelliti, prepara una nuova collaborazione militare con Hezbollah e quintuplica i rapporti commerciali con la Turchia, il nuovo grande partner degli ayatollah.
Teheran e Hezbollah, che ormai decide le sorti del governo di Beirut, non temono l'effetto contagio, anzi vogliono approfittare della temporanea instabilità per creare una breccia nella piazza araba. Chi protesta oggi assomiglia non ai ragazzi che chiedono libertà e diritti in Tunisia (e li chiesero anche in Iran) ma piuttosto a coloro che si sono opposti a Israele durante la guerra in Libano nel 2006 e a Gaza nel 2008. Nella versione dei fatti di Teheran e Hezbollah, Mubarak deve andarsene non perché opprime, ma perché riconosce Israele. E perché rappresenta, assieme all'Arabia Saudita, il contrappeso all'ambizione di strapotere delle forze sciite. La festa degli ayatollah e dei loro alleati fa capire che, laddove l'occidente non trovi un piano per la transizione dell'Egitto, ce n'è già un altro bell'e pronto.
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