La svolta d'Egitto

Redazione

La notizia è arrivata per bocca di un militare, e non poteva essere altrimenti, visto che è dall'inizio della rivolta egiziana che l'esercito gestisce la crisi, parla con il presidente, va dai manifestanti a dire di comportarsi bene, ma poi lascia che si scatenino gli scontri tra chi sostiene Hosni Mubarak e chi lo vuole via dal Cairo il più presto possibile. “Questa sera avrete quel che chiedete”, ha detto, ed è stata subito festa nella piazza centrale del Cairo, con tanti egiziani che ancora non si erano uniti alle manifestazioni e che per l'occasione si sono accodati, hanno iniziato a cantare ed esultare.

    La notizia è arrivata per bocca di un militare, e non poteva essere altrimenti, visto che è dall'inizio della rivolta egiziana che l'esercito gestisce la crisi, parla con il presidente, va dai manifestanti a dire di comportarsi bene, ma poi lascia che si scatenino gli scontri tra chi sostiene Hosni Mubarak e chi lo vuole via dal Cairo il più presto possibile. “Questa sera avrete quel che chiedete”, ha detto, ed è stata subito festa nella piazza centrale del Cairo, con tanti egiziani che ancora non si erano uniti alle manifestazioni e che per l'occasione si sono accodati, hanno iniziato a cantare ed esultare. Il tam tam è partito anche sulla rete: alla mattina si parlava dei tuoni che sembravano bombe e che parevano così forti da disperdere la piazza, e nel pomeriggio ecco l'annuncio: il rais, Hosni Mubarak, lascia il potere, lascia il Cairo.

    Le notizie hanno cominciato a circolare in modo incontrollato, con l'unica certezza che il presidente avrebbe detto qualcosa, entro sera, in un videomessaggio forse già registrato nel pomeriggio o meglio ancora in diretta, per la gioia della piazza. Poi, come già accaduto nei giorni scorsi, l'ora della verità è stata posticipata, mentre la piazza si riempiva, i commentatori cercavano di dare un'interpretazione di quel che stava accadendo e il rais parlava prima con il governo e poi con il suo vice, Omar Suleiman. Intanto ognuno diceva la sua. Le fonti del regime negavano: Mubarak non va da nessuna parte. Le fonti dell'esercito smorzavano: il potere andrà a un comitato militare (quanti comitati sono sorti in queste due settimane, uno per ogni richiesta?). Le fonti della piazza insistevano: oggi è come la caduta del muro di Berlino, è il popolo che vince sulla dittatura. Poi sono arrivati i Fratelli musulmani, i più temuti all'esterno dell'Egitto, i più corteggiati all'interno, che prima hanno detto che Mubarak era già via dal Cairo e poi hanno sentenziato: è un golpe militare, il rais darà il potere al vicepresidente Suleiman, che diventerà il garante delle riforme costituzionali in vista del voto di settembre.

    Tecnicamente Mubarak non aveva alternative se voleva che fosse il suo vice, nominato all'inizio della crisi perché il più leale e il più accreditato anche all'estero, prendesse il suo posto. Altrimenti, secondo la Costituzione, il potere sarebbe andato al capo del Parlamento. Ma Suleiman, che secondo il ministro delle Finanze guida il paese già dal primo giorno di crisi, vuol dire anche generali e servizi segreti, vuol dire che l'esercito prende il potere, secondo un copione ben noto nella storia d'Egitto. Come ha detto Richard Engel su Msnbc, “è un colpo di stato soft ed elegante”, ma comunque un colpo di stato.

    Che cosa succederà ora? Il patto con gli alleati all'estero è chiaro da un po': la transizione deve essere ordinata, come ha ripetuto ancora ieri il presidente americano, Barack Obama. Questo significa che si deve cominciare con le riforme e intanto organizzare la campagna elettorale in vista di un voto previsto per settembre. I Mubarak non ci saranno più, ma si sa che in Egitto i generali decidono ben più di quello che dicono e avranno – già hanno – un ruolo determinante nella gestione del trasferimento del potere, assieme ai cosiddetti oligarchi egiziani, i magnati dell'economia che già sono stati consultati da Suleiman, come Naguib Sawiris e Ahmed Bahgat (quest'ultimo proprietario di Dream Tv, l'emittente che ha lanciato l'intervista commovente al capo di Google arrestato e poi rilasciato che ha contribuito a galvanizzare ulteriormente la piazza). L'opposizione esiste, ma è molto frammentata, non ha ancora un leader e soprattutto teme che i Fratelli musulmani possano imporsi e condurre il gioco: già nel 2006 le speranze del minuscolo dissenso egiziano sfumarono quando, nella vicina Gaza, alle elezioni vinsero gli islamici di Hamas. Non c'è alternativa alla dittature, si disse, oltre il regime c'è soltanto lo stato islamico.

    L'opposizione laica cerca di unirsi: il Nobel per la Pace Mohammed ElBaradei sta già organizzando una macchina elettorale, i suoi uomini danno interviste, cercano di farsi conoscere, vanno in mezzo ai ragazzi e raccontano il programma del loro partito. Ma nelle ultime ore i favori dei media internazionali cadono su Amr Moussa, attuale segretario della Lega araba, ma con il mandato in scadenza il mese prossimo. Intervistato ieri dal Monde, Moussa non ha detto se si candiderà o no, ma ha ricordato che tra pochi giorni sarà disoccupato – che tempismo perfetto – che è un egiziano e che si sente in dovere di fare qualcosa per il suo paese, soprattutto ora che Mubarak, non proprio quel che si può definire un suo amico, sta lasciando il potere.