Ayman Nour ci spiega la terza via tra regime e stato islamico

Redazione

Nel grande dipinto alle spalle di Ayman Nour ci sono alcuni dei personaggi politici più importanti della storia egiziana, come Saad Zaghloul, padre della lotta contro i britannici e fondatore del partito liberale al Wafd. A casa sua, in completo nero, la camicia slacciata e senza più la cravatta, il capo di al Ghad – il domani, in arabo – spiega che l'Egitto sta dimostrando al mondo arabo l'esistenza di una terza via: tra il dittatore e lo stato islamico c'è dell'altro. “E' per questo che sono stato in prigione quattro anni”, dice al Foglio.

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    Nel grande dipinto alle spalle di Ayman Nour ci sono alcuni dei personaggi politici più importanti della storia egiziana, come Saad Zaghloul, padre della lotta contro i britannici e fondatore del partito liberale al Wafd. A casa sua, in completo nero, la camicia slacciata e senza più la cravatta, il capo di al Ghad – il domani, in arabo – spiega che l'Egitto sta dimostrando al mondo arabo l'esistenza di una terza via: tra il dittatore e lo stato islamico c'è dell'altro. “E' per questo che sono stato in prigione quattro anni”, dice al Foglio.

    Nour, un ex avvocato di 45 anni, originario di Mansoura, sul delta del Nilo, è stato il candidato presidenziale al voto del 2005. Allora il rais Hosni Mubarak ottenne un voto plebiscitario, mentre la comunità internazionale denuncia brogli. Poche settimane dopo, Nour fu arrestato con l'accusa di aver falsificato le firme per la creazione del suo partito, nel 2004. Il suo fermo fu interpretato come la volontà del regime di arginare un oppositore appoggiato dagli Stati Uniti. “Stavo cercando di far passare un messaggio nel paese e fuori – dice Nour – l'Egitto può avere un'alternativa liberale, civile e laica. Ma il regime non voleva che qualcuno s'accorgesse di questo. Ha creato stereotipi e bugie: o noi o il terrorismo”.

    Nel 2006, soltanto un anno dopo i mesi di inedito dissenso in Egitto contro Mubarak e contro la successione dinastica, il gruppo islamista palestinese Hamas ha vinto le elezioni. “O l'esercito o i mullah barbuti – ricorda Nour – Era questa la terribile immagine che il regime cercava d'inviare all'occidente, mentre tutti guardavano alle bombe in Iraq e al terrorismo di al Qaida. Ma a Tunisi e al Cairo questa immagine ha iniziato a disfarsi”. I Fratelli musulmani sono stati cauti, sono scesi in campo in un secondo tempo, mantengono, per ora e con una buona dose di tatticismo, un basso profilo: al voto di settembre non vogliono presentare un candidato. La Fratellanza – che è stata invitata nei giorni scorsi alle trattative del vicepresidente Omar Suleiman – ha già indicato che se entrasse al governo rivedrebbe il trattato di pace con Israele, in vigore dal 1979.

    L'Egitto, grande alleato degli Stati Uniti, è da sempre un paese centrale per gli equilibri regionali, apprezzato per la sua posizione di mediatore nel conflitto israelo-palestinese, la sua opposizione al programma atomico iraniano e il suo sostegno alla guerra al terrore. Ora, in America ed Europa, come in Israele e in Arabia Saudita, c'è paura per il futuro.

    E' questo un altro dei motivi per il quale Ayman Nour è finito in prigione, dice Ehab el Khouly, uno dei leader del partito. Tra una sigaretta e l'ennesima barzelletta su Mubarak, spiega al Foglio perché il regime ha preferito dare spazio ai Fratelli musulmani, gruppo fuori legge ma formalmente tollerato, piuttosto che ad altri movimenti. “Sono i partiti liberali come al Ghad che potrebbero piacere all'Egitto e al resto del mondo: sono sostenuti a livello internazionale, danno spazio ai diritti delle donne, dei copti. E in più, la regione ha bisogno della pace in medio oriente e i liberali manterranno i trattati in vigore, al contrario di altri gruppi.

    Per questo oggi il regime non ha aperto i negoziati con i veri leader liberali”. In breve, dicono i politici di al Ghad, il regime ha sempre preferito sostenere un'alternativa capace di spaventare gli alleati piuttosto che scendere in campo contro un credibile rivale.
    “L'unica alternativa al dialogo è un golpe”, ha detto mercoledì Omar Suleiman, con toni da premonizione. “Siamo molto disturbati da quella dichiarazione”, dice Nour seduto nel salone del suo grande appartamento di Zamalek, quartiere chic del Cairo. Attorno a lui, larghi specchi dalle cornici dorate, lampadari di cristallo, tappeti persiani e vasi di tulipani rossi e gialli. Ai muri, le fotografie in bianco e nero della sua famiglia, da sempre attiva in politica: il padre era deputato. “Mi piacerebbe candidarmi ancora alla presidenza – dice – e se diventassi presidente tornerei a dormire tutte le sere in questa casa, non andrei ad abitare a palazzo”.

    Ma il palazzo in queste ore è un'incognita, i mediatori cambiano sempre volto. “Sono loro a non essere pronti a negoziare – spiega Nour parlando di chi guida le trattative – Noi in quanto liberali siamo sempre pronti a farlo. Loro però devono sedersi con i loro pari, con i veri oppositori”. Tra una telefonata e l'altra Nour spiega, in anticipo sugli eventi, che Mubarak è ormai fuori dai giochi. “Non ha senso considerarlo parte dell'arena politica. Ormai quando parliamo del futuro di questo paese parliamo di una democrazia, di uno stato laico e civile che rispetti i diritti delle minoranze”. L'arancione, il colore di al Ghad, rappresenta il colore del sole e del futuro.

    Attorno a un piatto di sushi sull'enorme terrazzo di casa, al bordo di una piscina vuota, il leader di al Ghad racconta che le proteste del 2004 e 2005 hanno aperto la porta al cambiamento di oggi. Il suo partito e altri gruppi, sotto l'ombrello del movimento Kifaya, basta in arabo, scesero in strada, aiutati dalle pressioni sul regime da parte dell'Amministrazione Bush. Poche centinaia di attivisti, circondati da migliaia di agenti in assetto antisommossa. “Nel 2004, gli egiziani pensavano a Mubarak come a una mezza divinità. In quei giorni abbiamo creato il primo choc, abbiamo aperto un dibattito. Sono nati molti giornali indipendenti che hanno cominciato a criticare il regime. Prima non esistevano.

    Poi è arrivato Facebook. Non sapevo neppure cosa fosse quando sono uscito di prigione”. Il leader di al Ghad non ama parlare dei quattro anni passati in cella. Meglio pensare alla piazza: Nour serve il tè ai suoi ospiti versandolo nelle tazze blu del movimento giovanile del 6 Aprile, uno dei tanti gruppi che in queste ore organizza la protesta di un'opposizione senza capo. “La mancanza di un leader non è un problema. Questa non è una rivoluzione religiosa, dove tutti seguono un leader spirituale. Non è una rivoluzione in stile europeo, dove c'erano i leader sindacali. E' una rivoluzione popolare: ci sono gruppi con diverse agende e diversi programmi. Ora c'è un comitato che riunisce cinque o sei leader dei manifestanti: c'è Ayman Nour, c'è Mohammed ElBaradei. Non abbiamo bisogno di un leader finché la richiesta resta unificata”.

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