Il rovescio della rivolta

Redazione

Fare previsioni è sempre rischioso o addirittura sciocco. Ma io sono pressoché convinto che, quando le acque si ricalmeranno, com'è inevitabile, nel giro di uno, due o tre mesi risulterà chiaro che gli interessi occidentali e israeliani in medio oriente saranno stati minati, mentre quelli anti occidentali e anti israeliani si saranno rafforzati. Analogamente, apparirà altrettanto chiaro che i regimi che sono per natura e tradizione estremamente brutali e spietati, come quelli dell'Iran, della Siria e forse della Libia, saranno riusciti a superare la tempesta, mentre i regimi più moderati saranno stati rovesciati.

di Benny Morris

    Pubblichiamo alcuni stralci di un articolo apparso su The National Interest.

    Fare previsioni è sempre rischioso o addirittura sciocco. Ma io sono pressoché convinto che, quando le acque si ricalmeranno, com'è inevitabile, nel giro di uno, due o tre mesi risulterà chiaro che gli interessi occidentali e israeliani in medio oriente saranno stati minati, mentre quelli anti occidentali e anti israeliani si saranno rafforzati. Analogamente, apparirà altrettanto chiaro che i regimi che sono per natura e tradizione estremamente brutali e spietati, come quelli dell'Iran, della Siria e forse della Libia, saranno riusciti a superare la tempesta, mentre i regimi più moderati e più disposti ad accettare un processo di liberalizzazione saranno stati rovesciati oppure avranno dovuto concedere terreno e potere agli elementi anti occidentali e spesso islamisti presenti all'interno di ogni paese medio orientale.

    I regimi che sono già crollati o che stanno per farlo sono quelli del Libano, della Tunisia, dell'Egitto, dello Yemen, della Giordania e quelli degli stati del Golfo. La gente tende a dimenticare che il Libano, e non la Tunisia, è stato il primo paese a scaldarsi, anche se in questo caso la scintilla è stata data da un'azione radicale, non da concrete violenze nelle strade. Negli stati del Golfo con un vasta popolazione sciita (come il Bahrein, dove gli sciiti rappresentano la stragrande maggioranza), l'influenza iraniana aumenterà notevolmente, e in qualche caso potrebbe addirittura diventare predominante. Rimane ancora da stabilire quali ripercussioni si avranno in Arabia Saudita, in particolare a causa della sua vasta minoranza sciita. In questi ultimi giorni non si è parlato granché del coinvolgimento iraniano nelle rivolte del Bahrein, ma sono convinto che deve essere stato piuttosto intenso. In tutti gli altri paesi (Libano, Egitto, Algeria, Tunisia, Iraq, Giordania e Yemen), l'aiuto alla guerra americana contro il terrorismo si ridurrà notevolmente o scomparirà del tutto, in quanto i nuovi regimi si inchineranno davanti alla volontà popolare e a quella dei partiti musulmani o laici anti occidentali.

    Il liberalismo illuminato di Obama, che incoraggia le proteste di piazza e denuncia le repressioni di regime, alla fine non servirà ad altro che ad accrescere i sentimenti anti americani in tutto il medio oriente. Le masse si infurieranno contro l'America indipendentemente da tutti i dollari che Washington destinerà a sovvenzioni d'emergenza (un esempio emblematico è il radicale anti americanismo del Pakistan, malgrado tutti gli aiuti forniti dall'America). Allo stesso modo, un gelo sempre più rigido caratterizzerà la posizione di tutto il medio oriente nei confronti di Israele. Questo, senza dubbio, non farà che rafforzare la comunque giustificata tendenza israeliana a ostacolare e rifiutare gli sforzi per pacificare i palestinesi e, rispettivamente, incoraggerà i palestinesi nella loro ostinata irremovibilità su questioni come il ritorno dei profughi e gli insediamenti.
    In Egitto, gli esponenti dell'opposizione stanno già richiedendo la revoca del trattato di pace firmato nel 1979 con lo stato ebraico e l'interruzione definitiva delle esportazioni di gas in Israele. A quanto pare, il gasdotto, sabotato qualche notte fa nei pressi di el Arish, nel Sinai, non è stato ancora riattivato, non si sa se per ragioni tecniche o invece politiche. Israele, e forse anche Washington, stanno silenziosamente cercando di convincere l'Egitto a ripristinare i rifornimenti. Sulla questione del trattato con Israele, il regime militare che ha preso il posto di Mubarak ha rilasciato una generica dichiarazione nella quale si diceva che l'Egitto avrebbe “rispettato i propri impegni internazionali”, ma ha evitato di menzionare esplicitamente quello con Israele. Ma sappiamo che, probabilmente, alcuni generali si oppongono al trattato, e senza dubbio una sua esplicita conferma avrebbe irritato le masse egiziane, cosa che il regime militare intende assolutamente evitare. Le ultime notizie giunte dal Cairo dicono che il regime militare ha deciso di togliere il blocco sulla Striscia di Gaza, che integrava l'assedio israeliano del territorio controllato da Hamas fin dal 2006-2007.

    A cominciare da domani, centinaia di abitanti di Gaza attraverseranno il confine con il Sinai; non si sa se gli egiziani intendano controllare il flusso di armi e munizioni dirette a Gaza, come avevano fatto durante il regime di Mubarak. Le masse egiziane – esattamente come quelle di molti altri paesi arabi – sono permeate di sentimenti anti israeliani almeno in parte a causa di decenni di deliberata propaganda mediatica, e spesso anche antisemita. C'è un ampio e diffuso sostegno per Hamas, che rappresenta la branca palestinese del movimento fondamentalista egiziano dei Fratelli musulmani. In Egitto, anche quando la pace era la linea politica ufficiale, i portavoce del governo spesso denunciavano pubblicamente Israele (talvolta a ragione) e si offendevano profondamente quando gli israeliani criticavano il Cairo. Non c'è mai stata una concreta simmetria. Ma, cosa ancora più importante, il governo egiziano – non ottemperando agli impegni del trattato – ha permesso ai media di demonizzare senza alcun freno lo stato ebraico, mentre qualsiasi critica interna nei suoi stessi confronti era severamente repressa.
    Israele è stato il solo ambito in cui, sotto i dittatori Nasser, Sadat e Mubarak, è stata concessa agli egiziani ogni “libertà”. Se ne ha avuto un esempio illuminante appena poche settimane fa, immediatamente prima della rivolta di gennaio, quando i media egiziani hanno accusato il Mossad di avere organizzato l'attacco di un branco di squali contro i turisti di Sharm el Sheikh, allo scopo di danneggiare l'industria turistica egiziana. Per anni e anni i giornali egiziani hanno regolarmente accusato Israele di usare gas tossici contro la popolazione palestinese e di inquinare le riserve d'acqua egiziane. Il regime ha costantemente limitato anche il turismo egiziano in Israele, forse per paura che gli egiziani stessi potessero tornare indietro con un'immagine più equilibrata e positiva dello stato ebraico. Temo che questo tipo di propaganda anti israeliana e forse anche anti americana diventerà una sorta di routine automatica e obbligatoria. Tanto che potremmo addirittura abituarci all'idea di vedere gli incrociatori iraniani attraversare trionfalmente il Canale di Suez per dare incoraggiamento agli islamisti di tutto il mondo arabo.

    di Benny Morris, storico del medio oriente e docente all'Università Ben Gurion del Negev

    (traduzione Aldo Piccato)