Sotto la piazza, l'abisso? / 6
Per evitare una Libia come l'Iran una sola strada: aiutare i ribelli
Dopo quasi due mesi di rivolte popolari nel Maghreb e nel mondo arabo il futuro della più esplosiva regione del mondo è ancora tutto da decifrare. Di fronte al crollo di regimi autoritari in sella da decenni, la domanda di libertà, democrazia e diritti umani si scontra con la mancanza di immediate alternative e con lo spettro del fondamentalismo islamico.
di Alberto Flores d'Arcais
Leggi l'intervento di Giorgio Arfaras - Leggi l'intervento di Vittorio Emanuele Parsi - Leggi l'intervento di Giulio Meotti - Leggi l'intervento di Fiamma Nirenstein
Dopo quasi due mesi di rivolte popolari nel Maghreb e nel mondo arabo il futuro della più esplosiva regione del mondo è ancora tutto da decifrare. Di fronte al crollo di regimi autoritari in sella da decenni, la domanda di libertà, democrazia e diritti umani si scontra con la mancanza di immediate alternative e con lo spettro del fondamentalismo islamico. In Libia lo scenario è ancora più inquietante. A differenza di paesi come l'Egitto, la Tunisia o le monarchie del Golfo, “alleati” e foraggiati economicamente e militarmente dagli Stati Uniti (in primis) e dall'Europa, il regime del colonnello Gheddafi ha una storia di isolamento e di scontri (anche militari) con l'occidente che rende estremamente complicato il tentativo di aiutare i ribelli e porre le prime basi per una transizione alla democrazia.
In Egitto (e in misura minore in Tunisia) il pericolo che ci si avvii verso un regime sul modello iraniano (o del Libano degli Hezbollah) può essere bilanciato dalle pressioni della Casa Bianca, da massicci aiuti economici e dalla individuazione di “leader” moderati-democratici nella società civile o tra gli stessi militari (anche se il ritorno trionfale al Cairo del leader dei Fratelli musulmani è qualcosa di più di un campanello di allarme). Quanto sta accadendo in questi giorni a Tripoli e Bengasi necessita invece di qualcosa di più. Va innanzitutto fermato il bagno di sangue, se necessario anche con l'uso della forza, abbandonando un'ipocrita “neutralità” e una impossibile (con Gheddafi) via del dialogo.
Non è facile, considerati sia i legami economici che (soprattutto l'Europa) ha tessuto con il regime del colonnello negli ultimi anni sia il potere economico della Libia di oggi con i suoi asset da 70 miliardi di dollari (il 75 per cento della ricchezza del paese) che derivano dalla vendita del petrolio. Non è facile, perché la realpolitik è sempre la soluzione più semplice. Ma se si vuole evitare che la Libia diventi un nuovo Iran, magari con una nuova “rivoluzione” islamica guidata dallo stesso Gheddafi o dai suoi eredi, è una strada che può essere tentata. Aiutando, anche militarmente, i ribelli che controllano una parte del paese (c'è il precedente del Kosovo) e fornendo massicci aiuti (e qui il discorso vale anche per Egitto, Tunisia e perché no lo stesso Iran) sul modello Solidarnosc a chi si impegna per una reale transizione democratica e contro il fondamentalismo islamico. Non dimenticando, come purtroppo è accaduto spesso, che anche i popoli arabi hanno lo stesso diritto di tutti a libertà e diritti umani.
di Alberto Flores d'Arcais
Leggi l'intervento di Giorgio Arfaras - Leggi l'intervento di Vittorio Emanuele Parsi - Leggi l'intervento di Giulio Meotti - Leggi l'intervento di Fiamma Nirenstein
Il Foglio sportivo - in corpore sano