Damasco teme la fusione del nocciolo del suo esercito sunnita

Redazione

Nel suo momento più difficile il presidente Bashar el Assad, come tutti i rais investiti dal vento di cambiamento arabo, si chiede se potrà contare sul sostegno leale del suo esercito, il vero elemento che decide l'esito delle rivolte. Quattrocentomila uomini per undici divisioni, in maggioranza coscritti, militari di leva che devono servire per un anno e mezzo, e quasi tutti presi dal serbatoio della maggioranza sunnita – che rappresenta l'ottanta per cento della popolazione.

    Nel suo momento più difficile il presidente Bashar el Assad, come tutti i rais investiti dal vento di cambiamento arabo, si chiede se potrà contare sul sostegno leale del suo esercito, il vero elemento che decide l'esito delle rivolte. Quattrocentomila uomini per undici divisioni, in maggioranza coscritti, militari di leva che devono servire per un anno e mezzo, e quasi tutti presi dal serbatoio della maggioranza sunnita – che rappresenta l'ottanta per cento della popolazione.

    Assad appartiene alla minoranza alawita – che rappresenta invece appena il dodici per cento della popolazione ma occupa le posizioni di potere. L'esercito è specchio del paese: sopra comandanti alawiti e sotto truppe quasi interamente sunnite. E' da vedere se ora interverranno nelle strade contro i loro correligionari che protestano. Damasco non sa se la pancia delle truppe che è e sarà costretta a schierare nelle piazze per difendere il proprio potere è fatta di militari fedeli o di reclute insofferenti che non vedono l'ora di tentare l'ammutinamento.

    Gli alawiti sono una corrente scismatica
    mal tollerata dagli sciiti e decisamente invisa al mondo sunnita, insofferente ai loro eccessi sincretici – un alawita, ad esempio, può bere vino, crede in una divinità trinitaria e riconosce il Natale.
    Per ora il presidente si fida con certezza soltanto della quarta divisione, comandata da suo fratello Maher. E' l'unica in tutto l'esercito a essere composta interamente da alawiti, e per questo è stata mandata a sud, nella città di Deraa, con il compito di riportare l'ordine anche a costo di sparare, come sta succedendo con frequenza sempre maggiore, sui manifestanti sunniti – dietro ai quali si intravede la mano organizzativa e sediziosa dei Fratelli musulmani. Ma adesso che la rivolta scoppia in più punti contemporaneamente sulla mappa della Siria, da nord a sud, come farà il presidente siriano?

    Secondo gli osservatori, l'emergenza potrebbe costringere Assad a ricorrere a una soluzione “alla Bahrein”: importare manodopera volenterosa per aiutarsi nella repressione. I regnanti del Bahrein hanno chiesto aiuto ai sauditi contro i rivoltosi sciiti e il presidente siriano potrebbe fare lo stesso, invertendo il segno: ha un'alleanza incrollabile con l'Iran e con i miliziani di Hezbollah, che difficilmente rifiuterebbero di dargli aiuto. I rapporti con Teheran sono talmente collaudati che a Damasco, tra le strutture dell'esercito siriano, il regime ha trovato posto anche per una postazione di comando militare iraniana.

    L'intervento dei pasdaran in Siria necessiterebbe di poche ore: gli iraniani hanno tutto quello che serve per un'azione tempestiva e conoscono bene la strada verso Damasco, dove fanno arrivare armamenti di vario tipo con frequenza quotidiana. Teheran potrebbe anche mobilitare anche gli sciiti iracheni, più vicini alla Siria, comprese le frange radicali legate al religioso estremista Motqada al Sadr, che negli ultimi mesi si divide tra la città di Najaf e gli studi coranici in Iran. Senza contare la galassia di movimenti estremisti sciiti, presenti a vario titolo anche nella stessa Damasco. L'idea di mobilitare la armate di Hezbollah, che Damasco foraggia da tempo persino con missili Scud, presenta controindicazioni maggiori: nessuno può garantire a Bashar al Assad che i miliziani libanesi, una volta chiamati al di qua del confine, non si mettano in testa di far pesare la loro influenza.
    Dopo due settimane di proteste, le manifestazioni persistono e si ingrossano, nonostante i morti, finora oltre 130. Ricorrere a forze straniere potrebbe essere l'ultima arma e anche la definitiva agnizione: per Assad sarebbe difficile spiegare che la “mezzaluna sciita” che dal Libano corre fino a Teheran sia soltanto una fantasia.