L'ultimatum scade alle 16

Rapito un italiano nella lotta tra estremisti per il controllo di Gaza

Redazione

Un volontario italiano, Vittorio Arrigoni, è stato rapito ieri nella Striscia di Gaza da un gruppo islamico salafita – la “Brigata Mohammed Bin Moslama” – che minaccia di ucciderlo se entro le quattro di pomeriggio di oggi (ora italiana) il governo di Hamas non libererà i loro compagni detenuti. L'ultimatum è arrivato con un video postato su YouTube che mostra pochi secondi ripresi in bassa definizione, probabilmente con un telefonino, e ripetuti ossessivamente: il volontario italiano ha una benda nera sugli occhi ed è tenuto per i capelli da una mano. Sotto l'occhio destro ci sono tracce di sangue.

    Un volontario italiano, Vittorio Arrigoni, è stato rapito ieri nella Striscia di Gaza da un gruppo islamico salafita – la “Brigata Mohammed Bin Moslama” – che minaccia di ucciderlo se entro le quattro di pomeriggio di oggi (ora italiana) il governo di Hamas non libererà i loro compagni detenuti. L'ultimatum è arrivato con un video postato su YouTube che mostra pochi secondi ripresi in bassa definizione, probabilmente con un telefonino, e ripetuti ossessivamente: il volontario italiano ha una benda nera sugli occhi ed è tenuto per i capelli da una mano. Sotto l'occhio destro ci sono tracce di sangue. E' evidente che il video non è arrivato al pubblico di prima mano, ma è stato prima intercettato da qualcuno – verosimilmente dagli uomini di Hamas – che ci ha sovrastampato le scuse per la ferocia degli estremisti: “Il popolo di Gaza si dispiace per quello che questi bigotti hanno fatto a Vittorio. Siamo sicuri che sarà presto libero e salvo”. Alla fine del filmato scorrono scritte in arabo con la data di ieri.

    E' paradossale che Arrigoni sia diventato
    un bersaglio dentro Gaza: l'italiano, prima come inviato del manifesto e poi come attivista e cooperante, era un innamorato della causa della Striscia, dove era stato anche durante l'operazione israeliana Piombo fuso nel dicembre 2008 e gennaio 2009. Era tornato a bordo delle navi che sfidano il blocco navale di Israele. Ma è rimasto preso in mezzo alle prima, insanabile contraddizione dell'estremismo islamico: c'è sempre qualcuno più estremista di te, pronto a purificarti con il fuoco sacro del suo zelo.
    Hamas, che celebra i suoi attentati ed è sulla lista delle organizzazioni terroristiche del dipartimento di stato americano, tiene a sua volta in prigione per le loro idee eversive “decine di salafiti e tenta di convincerli a desistere”, spiega al New York Times un portavoce della polizia di Gaza, Rafik Abu Hani: “Vogliono realizzare le loro idee con le armi, e non possiamo permetterlo”.

    Gruppi armati di salafiti minacciano da destra – se questa definizione ha un senso – il potere di Hamas dentro la Striscia. Non fanno parte di al Qaida, ma sono piccoli alveari ideologicamente contigui al movimento di Bin Laden. Nella Striscia come nei campi profughi palestinesi del Libano   dove l'esercito è dovuto intervenire con operazioni lunghe e sanguinose per sradicarli, non sono i successori di al Qaida, quanto piuttosto fazioni che stanno crescendo in parallelo.

    I punti di frizione con Hamas sono numerosi. Mkhaimar Abusada, professore all'Università al Azhar di Gaza, dice che i salafiti “sono convinti che Hamas stia facendo troppo poco nella guerra contro Israele”. Un altro motivo è la collusione con i regimi stranieri e sciiti di Iran e Siria – che sono allo stesso tempo secolari perché funzionano secondo regole laiche ed eretici perché non sono sunniti. L'accusa più grave contro Hamas è che segue – a modo suo – le regole della democrazia, perché è arrivata al potere con elezioni e quindi ha tradito un principio cardine del salafismo, al wara al bara, l'obbedienza e la lealtà assoluta dovute senza mediazioni a Dio, all'islam e ai musulmani. Accettare le elezioni è comportarsi da infedeli.

    Il 14 maggio 2009 i soldati di Hamas
    hanno compiuto un raid in una moschea di Rafah per arrestare il gruppo salafita dei Guerrieri di Dio e soprattutto il leader, Abdel Latif Musa, che sfidava l'amministrazione della Striscia e predicava la necessità della immediata fondazione di un Emirato islamico. Musa e altre 21 persone furono uccise nello scontro a fuoco che seguì. “L'idea dell'emirato violò la linea rossa della tolleranza di Hamas – dice Abusada – il messaggio del raid fu chiaro: non provocateci”. Dopo due attentati esplosivi senza vittime, ora i salafiti stanno di nuovo sfidando i controllori militari di Gaza.