Quel tragico déjà vu nella ricostruzione dell'omicidio di Arrigoni

Redazione

Dopo l'assassinio di Vittorio Arrigoni e la evidente impossibilità di attribuirne la responsabilità a Israele, Hamas tenta di correre ai ripari ricalcando il modello utilizzato in situazioni del genere da Hezbollah – depistaggi, menzogne, dichiarazioni di estraneità –, che trovò la sua massima espressione nell'attentato all'ex presidente libanese Rafiq Hariri. Non a caso in quella occasione si parlò, in un primo momento, di una cellula qaidista “impazzita”, poi di un presunto kamikaze, Abu Abu Abbas, fino a indicare nell'organizzazione terroristica, guidata dagli allora super ricercati Ahmed Miqati e Ismail al Khatib.

di Pio Pompa

    Dopo l'assassinio di Vittorio Arrigoni e la evidente impossibilità di attribuirne la responsabilità a Israele, Hamas tenta di correre ai ripari ricalcando il modello utilizzato in situazioni del genere da Hezbollah – depistaggi, menzogne, dichiarazioni di estraneità –, che trovò la sua massima espressione nell'attentato all'ex presidente libanese Rafiq Hariri. Non a caso in quella occasione si parlò, in un primo momento, di una cellula qaidista “impazzita”, poi di un presunto kamikaze, Abu Abu Abbas, fino a indicare nell'organizzazione terroristica, guidata dagli allora super ricercati Ahmed Miqati e Ismail al Khatib, ritenuti emissari di Abu Musab al Zarqawi, la responsabile dell'uccisione di Hariri. In seguito ben altra verità emerse dall'inchiesta dell'Onu, condotta dal magistrato tedesco Detlev Mehlis, con il diretto coinvolgimento del regime di Damasco.

    Nella versione confidencial del “Report of the international indipendent investigation commission established pursuant to security council resolution 1595” (2005) si legge: “Un testimone di origine siriana, ma residente in Libano, che afferma di aver lavorato per i servizi di intelligence siriani in Libano, ha dichiarato che circa due settimane dopo che era stata approvata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1559, Maher Assad, Assef Shawkat, Hassan Khalil, Bahjat Suleyman e Jamil al Sayyed decisero di assassinare Rafiq Hariri”. Oggi il copione, sia pure rapportato a una vicenda di certo non paragonabile alla strage di Beirut del 14 febbraio 2005, si ripete nella Striscia di Gaza con dichiarazioni contraddittorie e smentite clamorose.

    Si è passati da una scheggia impazzita salafita a una cellula ben strutturata che è riuscita a infiltrare nel cuore di Gaza il jihadista Abdel Rahman, detto il Giordano, ponendo in tale modo le basi per esportare altrove, e lontano dalla Striscia, l'iniziativa del sequestro e del barbaro assassinio di Arrigoni. Quando non è possibile incolpare quei “ratti” di israeliani è necessario confondere le piste e avvelenare i pozzi. Sarebbe assai scomodo se dovesse emergere, come accaduto in Iraq per alcuni sequestri spesso conclusisi tragicamente, che all'origine della tragica fine di Arrigoni possa esserci un accadimento interpretato come uno sgarro nel complesso sistema che regola gli equilibri di potere a Gaza e all'interno di Hamas. Quel che è certo, al momento, sono le espressioni di smarrimento e paura viste sul viso del pacifista italiano nel video trasmesso dai suoi assassini. Le stesse colte sul volto del soldato israeliano Gilad Shalit sequestrato da Hamas il 25 giugno del 2006 e tuttora nelle sue mani. Bashar el Assad, Hezbollah e Hamas non hanno colto il significato di “Restiamo umani”.

    di Pio Pompa