L'Europa torna in vita
Perché all'Italia non può bastare accodarsi a una Germania ruggente
C'è già chi, preso dall'entusiasmo, parla di nuovo miracolo economico. Omeglio di Wirtschaftswunder, perché il miracolo finora è soprattutto tedesco. Effettivamente la Germania sta mettendo a segno un tasso di crescita fuori del comune: secondo i dati ufficiali diffusi ieri, è cresciuta di 1,5 punti percentuali nel primo trimestre dell'anno rispetto ai tre mesi precedenti, il che significa 4,9 in rapporto a un anno prima. Un tasso “americano”, o almeno quello americano di una volta perché adesso gli Stati Uniti viaggiano a ritmo molto più lento: 1,8 nell'ultimo trimestre, appena 2,3 su base annua. Non è detto però che l'economia tedesca riesca a fare da locomotiva per l'intera Europa
C'è già chi, preso dall'entusiasmo, parla di nuovo miracolo economico. Omeglio di Wirtschaftswunder, perché il miracolo finora è soprattutto tedesco. Effettivamente la Germania sta mettendo a segno un tasso di crescita fuori del comune: secondo i dati ufficiali diffusi ieri, è cresciuta di 1,5 punti percentuali nel primo trimestre dell'anno rispetto ai tre mesi precedenti, il che significa 4,9 in rapporto a un anno prima. Un tasso “americano”, o almeno quello americano di una volta perché adesso gli Stati Uniti viaggiano a ritmo molto più lento: 1,8 nell'ultimo trimestre, appena 2,3 su base annua. Non è detto però che l'economia tedesca riesca a fare da locomotiva per l'intera Europa che – sul fronte della crescita – appare nettamente spaccata tra nord e sud. Attorno alla Germania si è formata una corona di paesi che vanno dalla Scandinavia (la Svezia mette a segno il record assoluto con un più 7,3 per cento rispetto a dodici mesi fa), alla Polonia (un tasso di quattro punti in media), passando per Olanda, Belgio, Austria, e per una volta persino la Francia con un incremento di poco superiore a un punto.
Stenta la Gran Bretagna (0,5), ma soprattutto sono tagliati fuori i paesi meridionali: il Portogallo sta cadendo di nuovo in recessione anche in seguito alla politica di rientro dal disavanzo pubblico, lo stesso vale per la Grecia. La Spagna ha fatto un po' meglio dell'Italia (0,3 nel primo trimestre contro un misero 0,1), ma non basta certo per metterla al riparo dalla crisi dei debiti sovrani. “I paesi periferici soffrono e non riescono a rimettersi in piedi”, spiegano alla Commerzbank. Un'analisi che sa di sentenza. Il boom tedesco è molto peculiare. La Germania è entrata nell'euro in difficoltà, ma con una struttura produttiva solida e una penetrazione già avviata nei nuovi mercati, Cina e India. Tra il 2003 e il 2004 ha caricato la molla, così dice l'Ocse, grazie a riforme del mercato del lavoro che hanno aumentato la libertà di licenziamento e la flessibilità negli orari e nei salari. La recessione l'ha colpita duramente, ha perso cinque punti di prodotto lordo nel 2009, ma ha saputo cogliere al volo la ripresa e oggi raggiunge un livello produttivo già superiore a quello ante crisi. L'Italia, invece, è ancora sotto. La debolezza nella crescita dei paesi ad alto debito (Italia e Grecia) o ad alto deficit pubblico (Spagna e Portogallo) li mette nel mirino della speculazione. Anche perché hanno tutti un disavanzo della bilancia con l'estero che li rende più vulnerabili. E' questo lo squilibrio più allarmante. La Germania ha un surplus di 5,2 punti, l'Olanda di 5,7, la Svezia di 6,3. In mezzo è rimasta la Francia.
Secondo Maurizio Sacconi, ministro del Welfare, i dati Istat non tengono conto degli effetti positivi del pacchetto per lo sviluppo, ovvero del decreto promulgato ieri dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma persino il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, pur difendendo l'operato dell'esecutivo, ammette che “sulla crescita bisogna fare di più”. Insomma, la frustata promessa non ha dato risultati. Un tasso di crescita dello 0,1 per cento vuol dire infatti crescita zero, forse anche meno, al netto dell'errore statistico. Rispetto a un anno prima siamo a più uno, un ritmo inferiore a quello invernale quando si era registrato più 1,5 per cento. Se prendiamo la produzione industriale a marzo, solo la meccanica, le macchine e i beni strumentali hanno un segno più, mentre per i beni di consumo, durevoli e non durevoli, l'andamento è ancora negativo. Crollano tessile, elettronica, alimentari, chimica. Non ci sono stimoli interni alla congiuntura e quelli esteri trovano due limiti oggettivi: una domanda ancora modesta in Eurolandia (dove vanno i due terzi dei nostri prodotti) e una competizione molto aspra nei paesi asiatici. L'industria italiana tiene botta in alcuni comparti (macchine, robot, metallurgia, moda) ma non basta.
Il Wirtschaftswunder tedesco, insomma, non si trasformerà automaticamente in miracolo italiano, specie se il nostro paese ritenesse di inseguire una ricetta esclusivamente fondata sull'export. Senza una domanda interna sostenuta da coraggiose misure di apertura del mercato nei servizi, l'Italia non potrà crescere.
Anche il resto dell'Eurozona, d'altronde, non potrà cullarsi troppo sui risultati di Berlino. Ieri la Commissione Ue ha ribadito infatti che la situazione della Grecia è “molto grave”. Senza contare che lunedì i ministri delle Finanze dell'Eurogruppo dovranno occuparsi anche del dossier Portogallo, dopo il “sì” condizionato annunciato ieri dalla Finlandia. A quel punto la candidatura ufficiale di Mario Draghi alla presidenza della Bce potrebbe essere dunque al centro del dibattito meno faticoso.


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