E' un medio oriente che cambia
Si è a lungo discusso sulla strategia americana nei confronti del medio oriente in rivoluzione, con un occhio di riguardo agli alleati storici, mentre crescevano – e crescono – le preoccupazioni di Israele. Domani il presidente Barack Obama cercherà di fissare alcuni punti con l'atteso discorso al mondo arabo, venerdì incontrerà il premier israeliano Netanyahu e domenica andrà all'Aipac, la potente lobby che difende il diritto di Israele a esistere e a difendersi, dove potrebbe annunciare una visita a Gerusalemme in giugno.
Si è a lungo discusso sulla strategia americana nei confronti del medio oriente in rivoluzione, con un occhio di riguardo agli alleati storici, mentre crescevano – e crescono – le preoccupazioni di Israele. Domani il presidente Barack Obama cercherà di fissare alcuni punti con l'atteso discorso al mondo arabo, venerdì incontrerà il premier israeliano Netanyahu e domenica andrà all'Aipac, la potente lobby che difende il diritto di Israele a esistere e a difendersi, dove potrebbe annunciare una visita a Gerusalemme in giugno.
Ai confini di Israele è ormai guerra, volano i razzi da Gaza e, secondo alcune fonti di intelligence, ci sarebbero già i cecchini di Hezbollah sistemati sulla frontiera con il Libano pronti a creare nuovi martiri nel conflitto con lo stato ebraico; nelle analisi degli esperti ricorre con inquietante insistenza lo spettro della Terza intifada; l'accordo tra Hamas e Fatah, patrocinato da un nuovo Egitto sempre più ambiguo ma desideroso di avere un ruolo geostrategico rilevante, è destinato a far emergere l'oltranzismo del gruppo che governa Gaza; il leader dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, lavora per il riconoscimento unilaterale all'Onu dello stato palestinese, come ha spiegato ieri con un articolo sul New York Times (in cui sottolineava che l'azione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite è la soluzione al conflitto, non l'antitesi alla pace). Le rivoluzioni continuano con esiti incerti mentre aumentano le pressioni internazionali sulla Siria, che sono ben più rallentate rispetto alla corsa alle armi per cacciare il colonnello Gheddafi, ma da giorni diventano più intense.
Obama userà il suo discorso per iniettare un po' di idealismo nella gestione della primavera araba: la forza dei popoli deve essere rispettata e ascoltata e (forse) le nefandezze che stanno uscendo, fossa comune dopo fossa comune, in Siria non possono essere tollerate. Nel gioco delle indiscrezioni ci sono molte versioni: c'è chi sostiene che il discorso proverà a rassicurare tutti senza al fondo accontentare nessuno; c'è chi invece pensa che l'agenda sia stata studiata apposta – e cinicamente – in vista di un ritorno in termini elettorali per il presidente. Lo scetticismo governa ormai la stragrande maggioranza dei media israeliani. Ma l'alleanza tra America e Israele, nonostante gli evidenti dissapori tra Obama e Netanyahu, non è mai di fatto stata messa in discussione, e ai palestinesi a caccia di uno stato votato dall'Onu non conviene un'Intifada ora. E' necessario capitalizzare sui tempi e sugli interessi immediati per rilanciare un dialogo che da due anni marcisce tra i dispetti e l'indifferenza. E' necessaria un'iniziativa concreta da parte di Israele e America per governare i cambiamenti ormai inevitabili del medio oriente.
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