Sei militari feriti

Bomba contro gli italiani in Libano, ma Hezbollah scagiona i suoi miliziani

Redazione

La bomba esplosa al passaggio di una pattuglia di Caschi blu italiani nei pressi di Sidone, nel Libano meridionale, era stata piazzata per uccidere. L'entità dell'esplosione avvenuta all'ingresso della città, a quanto pare innescata a distanza con un radiocomando, non lascia spazio a dubbi sulla volontà di uccidere degli attentatori. Sei militari sono rimasti feriti, due in modo grave. Non è detto che nel mirino ci fossero proprio gli italiani.

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    La bomba esplosa al passaggio di una pattuglia di Caschi blu italiani nei pressi di Sidone, nel Libano meridionale, era stata piazzata per uccidere. L'entità dell'esplosione avvenuta all'ingresso della città, a quanto pare innescata a distanza con un radiocomando, non lascia spazio a dubbi sulla volontà di uccidere degli attentatori. Sei militari sono rimasti feriti, due in modo grave. Non è detto che nel mirino ci fossero proprio gli italiani. Sidone si trova a nord del fiume Litani, 40 chilometri a sud di Beirut, quindi in “zona neutra”, al di fuori dell'area assegnata alla missione Unifil e sotto il controllo di fatto di Hezbollah compresa tra la “Blue Line” – che segna il confine pericoloso con Israele – e il fiume Litani. La città di Sidone è attraversata spesso dalle colonne di tutti i 29 contingenti militari di Caschi blu provenienti o dirette a Beirut e anche in questo caso il mezzo colpito rientrava nella base italiana di Shama dopo una missione di trasporto a Beirut.

    Secondo la tv libanese Future Tv l'ordigno esploso era stato nascosto dietro la barriera di cemento armato sul ciglio della superstrada che collega la capitale al porto di Sidone. La deflagrazione ha colpito l'ultimo dei quattro veicoli italiani – il più facile per chi ha azionato il radiocomando – vicino a un checkpoint delle forze libanesi.

    Le blande regole d'ingaggio della missione Unifil impediscono un capillare controllo del territorio nell'area assegnata ai Caschi blu, ma a nord del Litani le forze dell'Onu non hanno nessuna giurisdizione né possono esercitare alcuna attività militare di prevenzione. Nonostante le crescenti provocazioni effettuate negli ultimi mesi dai miliziani di Hezbollah che in più occasioni hanno ostacolato le pattuglie di Unifil, l'intelligence e le autorità di Beirut sospettano che l'attentato sia opera dei gruppi jihadisti legati ad al Qaida ben presenti nei campi profughi palestinesi di Sidone e in particolare a Ayn al Hilwe, dove nel febbraio 2010 ci furono duri scontri tra militanti di al Fatah e del gruppo salafita Jund al Sham (Soldati del Levante), movimento aderente ad al Qaida.
    Il contingente italiano è attualmente di quasi 1.800 uomini.

    A rafforzare l'impressione che si tratti di un attentato dei salafiti – Sidone è una città a maggioranza sunnita, e quindi potrebbe ospitare gli estremisti; più giù è tutta zona sciita – è arrivata la dichiarazione sdegnata di Hezbollah, che qualche ora dopo l'esplosione ha condannato l'agguato contro i militari italiani di Unifil con “sgomento, dolore e rabbia”, come hanno detto all'agenzia Agi il ministro degli Esteri del movimento sciita, Ali Daghmush, e il portavoce Ibrahim al Moussawi. Hezbollah sostiene di non avere sotto controllo l'area nella quale è avvenuto l'attentato e ha speso parole dolci per l'Italia, che secondo gli esponenti del movimento “ha contribuito alla pace e alla stabilità nel sud, e ha protetto i cittadini che ci vivono”.

    In realtà, come può testimoniare chi c'è stato, Hezbollah non ha interesse a colpire Unifil, per di più al di fuori dalla propria area d'operazioni, perché la missione delle Nazioni Unite non arreca alcun disturbo alle attività del movimento. “Capita che a volte blocchino l'accesso delle pattuglie dei Caschi blu a certe zone, costringendole ad aspettare fuori. Quando hanno finito con i loro traffici, permettono alle pattuglie di entrare. Fatta in questo modo, l'attività di sorveglianza delle Nazioni Unite che dovrebbe impedire a Hezbollah di armarsi in previsione del secondo tempo della guerra dell'estate 2006 contro Israele non serve a nulla”, dicono dal Libano fonti che preferiscono restare anonime. Hezbollah, è la conclusione poco lusinghiera, non vi ha attaccati perché vi ritiene innocui.

    Altri analisti invece vedono
    dietro l'attentato la mano del movimento sciita. La bomba sarebbe un'intimidazione in risposta alle pressioni occidentali sulla Siria che sta massacrando i manifestanti che da dieci settimane chiedono la fine del regime degli Assad. Hezbollah è legata a Damasco da relazioni strettissime, e quello di ieri sarebbe soltanto un assaggio – per chi sostiene la responsabilità del movimento – di quello che potrebbe accadere se l'occidente decidesse di interferire con gli affari interni della Siria, come è sembrato ieri al termine del G8 di Deauville. Se non ci lasciate stare, è il messaggio, abbiamo a disposizione numerose opzioni per dissuadervi. Colpire i vostri uomini in Libano, o colpire con i razzi Israele, appena al di là del confine.

    Il paese dove stazionano i dodicimila peacekeeper di Unifil è sull'orlo di una crisi politica permanente. Da gennaio è senza governo, da quando i ministri legati a Hezbollah hanno abbandonato l'esecutivo.

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    L'attentato al blindato dei Caschi blu italiani, nel sud del Libano, fa riemergere le difficoltà e le vulnerabilità della missione Unifil. Nata con l'accordo di tutti alla fine del conflitto del 2006 tra Israele e il Libano, Unifil aveva l'obiettivo di lavorare con l'esercito libanese per disarmare il Partito di Dio, Hezbollah, padrone di quella parte di paese che confina con Israele e programmaticamente impegnato, proprio come l'alleato iraniano, a distruggere il “vicino sionista”. [continua a leggere]