Una missione vulnerabile
L'attentato al blindato dei Caschi blu italiani, nel sud del Libano, fa riemergere le difficoltà e le vulnerabilità della missione Unifil. Nata con l'accordo di tutti alla fine del conflitto del 2006 tra Israele e il Libano, Unifil aveva l'obiettivo di lavorare con l'esercito libanese per disarmare il Partito di Dio, Hezbollah, padrone di quella parte di paese che confina con Israele e programmaticamente impegnato, proprio come l'alleato iraniano, a distruggere il “vicino sionista”. L'Italia è stata da sempre in prima fila nella costituzione di Unifil, ne ha avuto per anni il comando e ancora adesso che ha passato il testimone agli spagnoli schiera quasi 1.800 uomini.
L'attentato al blindato dei Caschi blu italiani, nel sud del Libano, fa riemergere le difficoltà e le vulnerabilità della missione Unifil. Nata con l'accordo di tutti alla fine del conflitto del 2006 tra Israele e il Libano, Unifil aveva l'obiettivo di lavorare con l'esercito libanese per disarmare il Partito di Dio, Hezbollah, padrone di quella parte di paese che confina con Israele e programmaticamente impegnato, proprio come l'alleato iraniano, a distruggere il “vicino sionista”.
L'Italia è stata da sempre in prima fila nella costituzione di Unifil, ne ha avuto per anni il comando e ancora adesso che ha passato il testimone agli spagnoli schiera quasi 1.800 uomini. Nonostante l'impegno dei nostri soldati, l'obiettivo non è stato raggiunto, anzi, a causa dei caveat che hanno impedito in molte occasioni ai Caschi blu di intervenire, Hezbollah si è riarmato, i suoi arsenali – per lo più sotterranei – sono di nuovo pieni, mentre la crisi della vicina (e alleata) Siria unita alla mai sopita offensiva di Hamas a Gaza sta ricreando quel clima che portò, nel 2006, ad attaccare Israele.
Poco meno di un anno fa gli spagnoli furono coinvolti in un agguato teso da Hezbollah per prendere i mezzi dei Caschi blu e mostrare, con le bandiere gialle del partito sciita sfacciatamente srotolate sui blindati delle forze occidentali, i rapporti di forza sul campo.
In un'intervista a questo giornale il ministro degli Esteri Frattini aveva detto che i termini della nostra presenza andavano ridiscussi. Ieri ha detto che ridurremo il nostro impegno. Ma non è soltanto questione di numeri: si tratta di chiarire il mandato troppo vago di una missione troppo vulnerabile.
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