La teoria del complotto è il mefitico collante del nuovo Egitto
Tre settimane fa tre uomini sono stati arrestati in piazza Tahrir al Cairo perché avevano addosso “valuta straniera” e tatuaggi con le stelle di David, il simbolo di Israele. Armi con il marchio della stella di David sarebbero state trovate in possesso di un giornalista accusato di incitare i giovani ad attaccare la polizia e a dare l'assalto ai ministeri. Come raccontava il Wall Street Journal in un lungo reportage dal Cairo, proliferano nel “nuovo Egitto” le teorie del complotto, la caccia alle “spie” e la fobia verso gli stranieri.
Tre settimane fa tre uomini sono stati arrestati in piazza Tahrir al Cairo perché avevano addosso “valuta straniera” e tatuaggi con le stelle di David, il simbolo di Israele. Armi con il marchio della stella di David sarebbero state trovate in possesso di un giornalista accusato di incitare i giovani ad attaccare la polizia e a dare l'assalto ai ministeri. Come raccontava il Wall Street Journal in un lungo reportage dal Cairo, proliferano nel “nuovo Egitto” le teorie del complotto, la caccia alle “spie” e la fobia verso gli stranieri. Il mondo arabo non è nuovo a questa paranoia, ma adesso è giudicata un indice importante per misurare l'ostilità contro l'occidente.
A gennaio la stampa saudita ha scritto che il Mossad ha spedito un avvoltoio nei cieli del regno per fare la spia, prova ne è che il volatile porta un braccialetto con scritto “Tel Aviv University”. Poi c'è stato lo squalo che davanti alla costa del Sinai azzanna i turisti non israeliani. Infine i topi mandati da Israele per infestare Gerusalemme est. Ma solo le case degli arabi: le abitazioni ebraiche godono di derattizzazione preventiva. In ordine il complotto israeliano ha coinvolto la strage di copti, la Corte che individua in Hezbollah il colpevole dell'assassinio del presidente Rafiq Hariri nel 2005, la divisione del Sudan, gli scontri nello Yemen, un progetto di Israele di distruggere la moschea di al Aqsa e costruire un Terzo Tempio sulle sue rovine.
La giunta militare del Cairo, che ha le redini del paese dopo la cacciata di Hosni Mubarak, da settimane dipinge gli attivisti laici pro democrazia come “spie” e “sabotatori”, biasimando gli stranieri per il conflitto religioso e per la grave crisi economica in cui versa il più grande paese arabo. Il Wall Street Journal riferisce di “dozzine di occidentali, inclusi turisti e giornalisti, accerchiati nelle strade e trasferiti nei commissariati di polizia”. Ai checkpoint lavorano veri e propri “cercatori di spie”. Una routine generalmente seguita dall'immediato rilascio. Tranne che nel caso di Ilan Grapel, uno studente con doppio passaporto americano e israeliano che da giugno si trova in carcere con l'accusa di essere un “agente del Mossad” che sparge sedizione e rivolta (Grapel era al Cairo per lavorare per conto di una Ong americana).
Questa radicale ostilità per gli stranieri è fomentata anche da giornali e gruppi islamici, che parlano ormai di “infedeli” al soldo degli americani e degli israeliani. “Ogni legame con gli stranieri oggi è molto pericoloso”, dice Hafez Abu Saada, portavoce dell'Organizzazione egiziana per i diritti umani. “Prima hanno incitato contro gli stranieri, inducendo la popolazione ad averne paura. Poi le teorie della cospirazione sono state usate contro chiunque lavorasse per le organizzazioni internazionali”. Il generale Mamdouh Shaheen ha detto in televisione che “l'esercito chiede ai patrioti di rifiutare i soldi stranieri”.
L'Amministrazione Obama ha richiamato a Washington James Bever, il capo della missione per gli aiuti internazionale di stanza al Cairo, dopo le dure proteste egiziane contro le donazioni americane alla società civile egiziana. Anche i “liberali” hanno abbracciato la fobia straniera. “L'America vuole creare caos e rovesciare i valori e le tradizioni egiziane”, ha detto Al Sayed al Badawi, portavoce del partito “laico” Wafd.
Quando in Europa sono morti una cinquantina fra tedeschi e svedesi a causa del batterio del ceppo Escherichia coli, il ministro dell'Agricoltura del Cairo, Ayman Abu Hadid, non si è premurato di chiedere scusa. Ha incolpato Israele per aver “avvelenato” la propria agricoltura nazionale. A giugno il vice primo ministro, Yehia el Gamal, ha detto al giornale libanese Al Nashra che c'è la mano di agenti “sionisti” anche dietro agli scontri fra musulmani e cristiani in Egitto.
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