Bollywood vs. jihad

Redazione

L'India è uno stato lacerato da scontri religiosi, linguistici, sociali, economici e regionali. Ma la battaglia che lo scorso anno ha veramente spaccato in due il paese riguardava una ben più fondamentale domanda: Munni o Sheila? Questi sono i nomi d'arte delle sirene del sesso che a Bollywood ballavano e cantavano due delle canzoni di maggior successo, non solo del 2010, ma probabilmente di tutti i 112 anni di storia dell'industria cinematografica indiana: “Munni Badnam Hui”, tratta dal film di successo Dabangg, e “Sheila Ki Jawani”, da Tees Maar Khan.

di Shikha Dalmia

    L'India è uno stato lacerato da scontri religiosi, linguistici, sociali, economici e regionali. Ma la battaglia che lo scorso anno ha veramente spaccato in due il paese riguardava una ben più fondamentale domanda: Munni o Sheila? Questi sono i nomi d'arte delle sirene del sesso che a Bollywood ballavano e cantavano due delle canzoni di maggior successo, non solo del 2010, ma probabilmente di tutti i 112 anni di storia dell'industria cinematografica indiana: “Munni Badnam Hui”, tratta dal film di successo Dabangg, e “Sheila Ki Jawani”, da Tees Maar Khan. Non appena queste due pellicole sono arrivate sul grande schermo, è scoppiata una guerra civile e culturale a cavallo tra India, Pakistan e gran parte del medio oriente. I fan hanno iniziato a duellare su Twitter e Facebook, confrontandosi su quale delle due ballerine – Munni o Sheila – si muovesse con più grazia al ritmo delle melodie e discutendo su quale delle due esprimesse al meglio la sensualità dei testi delle canzoni. La più spontanea ed etnica Munni, con le sue camicette che lasciano intravedere praticamente tutta la schiena, o la raffinata e occidentalizzata Sheila, nei suoi abiti vaporosi? Grazie alla colonna sonora di questi film, per altri versi esecrabili, i giorni del loro debutto sugli schermi sono stati per Bollywood i più importanti di sempre. Il Times of India, equivalente indiano del New York Times, ha dichiarato Munni e Sheila le donne dell'anno del paese. Non tutti però sono rimasti divertiti. Il suggestivo erotismo di Bollywood, infatti, da sempre urta con i limiti vigenti in paesi sessualmente pudichi, irritando i tradizionalisti di ogni colore. Ma questa volta la licenziosità di Munni e la voce ammiccante di Sheila sono state, per alcuni conservatori, troppo da sopportare, al punto da spingere la moglie di un importantissimo funzionario civile indiano a presentare un'istanza in tribunale affinché, per motivi di immoralità e indecenza, vietasse le colonne sonore dei film. Gli islamisti, in particolare, avevano motivo di essere offesi: la donna che nel film interpreta la parte di Sheila – Katrina Kaif – è musulmana; così pure Salman Khan, la star maschile colpevole di aver ballato in maniera troppo sensuale con Munni. Per aggiungere al danno la beffa, un'altra donna di fede islamica, Farah Khan, è la coreografa responsabile dei numeri più “osé” di entrambe le danzatrici. Da tempo i fondamentalisti islamici sono preoccupati per la minaccia che Bollywood rappresenta per loro istanze puritane. Di recente hanno pure diffuso alcuni video – perfino in versione rap! – che condannano i film di Bollywood come il prodotto di una cultura infedele che cerca di fare ai musulmani il lavaggio del cervello, andando contro i loro valori e doveri religiosi. Effettivamente hanno motivi sufficienti per essere preoccupati: secondo le statistiche più recenti, 3 miliardi di persone, circa la metà del pianeta, guardano i film di Bollywood, e molti di loro vivono proprio nel mondo islamico. Rappresentando musulmani integrati e modernizzati, senza nemmeno volerlo, Bollywood deromanticizza e quindi disarma il fanatismo islamico. Se si può avere Munni e Sheila in questo mondo, perché mai dovresti indossare una cintura esplosiva e farti saltare in aria per il bene di 72 vergini teoriche?

    Per un decennio, ormai, l'America ha combattuto la piaga del terrorismo islamista dispiegando il suo considerevole “hard power”, la potenza militare. Washington è scesa in guerra contro due paesi presumibilmente ostili, ha lanciato attacchi con i droni contro paesi presumibilmente amici, torturato sospetti terroristi e così via. Ma con il deficit e il debito che crescono vertiginosamente e fuori controllo, e con gli attivisti libertari in armi contro le restrizioni dei diritti imposte da una guerra della quale non si intravvede ancora una fine, si può affermare che la potenza americana è senza dubbio affaticata. Non che poi il potere economico-militare sia l'unico a giocare un ruolo importante, come spesso si racconta. E' ampiamente riconosciuto, per esempio, che l'occidente ha vinto la Guerra fredda grazie anche a un contributo significativo della sua musica e della sua cultura che hanno conquistato i cuori e le menti dei giovani del blocco orientale. Ma il tipo di “soft power” occidentale – jazz, Hollywood, Beatles –, rivelatosi così importante nel far crollare l'impero sovietico, è senza dubbio meno rilevante oggi nella lotta contro il fondamentalismo islamico.

    La cultura americana, nonostante la sua presunta ubiquità, non ha la stessa risonanza nei paesi orientali che non condividono origine etnica, religiosa e culturale dell'occidente. Mentre l'hip hop e l'heavy metal hanno contribuito a ispirare alcuni dei manifestanti di piazza che chiedevano più libertà in tutto il medio oriente e l'Africa settentrionale, al di fuori di un nucleo ristretto di quelli che per primi adottarono questi sottogeneri culturali tutto ciò rimane un fatto più voyeuristico che aspirazionale. La loro popolarità deriva probabilmente più da una curiosità su come alcuni popoli “esotici” vivono in paesi stranieri che non da una genuina inclinazione a imitarli. Questo non è vero per Bollywood. Questa sfavillante industria cinematografica, leziosa e kitsch, è radicata in tradizioni, valori, estetica e geografia condivisi dall'India con gran parte del mondo musulmano. Non a caso il medio oriente è il terzo più grande mercato d'oltreoceano di Bollywood. Molti film “made in Bollywood” proiettano le loro prime cinematografiche a Dubai. La Dubai Infinity Holdings, una società di media, sta perfino costruendo un parco a tema, sul modello degli Universal Studios, sul mondo di Bollywood, e questa dovrebbe diventare una grande attrazione per i turisti della regione, anche se il suo completamento, originariamente previsto per il prossimo anno, è stato rinviato di due anni a causa della crisi finanziaria mondiale. Come le masse indistinte che vivevano dietro la cortina di ferro, i giovani insoddisfatti di tutto il mondo musulmano non democratico vedono in Bollywood uno scorcio dei piaceri, dei colori e della ricchezza che sono a disposizione in un mondo con più libertà. In Afghanistan, dopo la caduta dei Talebani, i cinema che proiettavano film di Bollywood sono stati tra le prime aziende a riaprire i battenti. Anche nel pieno della repressione a opera dei talebani, d'altronde, i negozianti avevano mantenuto una scorta segreta di locandine di stelle del cinema da barattare con cibo e beni, così come i giovani dell'Unione Sovietica avrebbero commerciato dischi dei Beatles prodotti illegalmente.

    Il paese musulmano che pare essere più stretto nella morsa della Bollywood-mania è il Pakistan, gemello culturale dell'India sotto ogni aspetto tranne quello della religione. Con quanta maggiore forza le autorità pakistane hanno cercato di eliminare questa moda, tanto più è cresciuta la popolarità di Bollywood. Finché i film indiani sono stati banditi per legge, ovvero per oltre 40 anni, i cittadini pachistani li guardavano grazie ad antenne paraboliche e nastri Vhs di contrabbando. Quando il divieto è stato finalmente tolto, nel 2008, la scena di Bollywood in Pakistan è esplosa. Non solo i film indiani sono stati proiettati in case affollatissime, ma le star del cinema indiano sono ormai trattate come semidei (nonostante il tabù dell'islam nei confronti dell'idolatria). L'ultima moda tra i nuovi ricchi pachistani è quella dei matrimoni a tema Bollywood, durante i quali la sposa e lo sposo vestono con abiti indossati dalle stelle di un film particolare e danno il loro ricevimento di nozze in elaborate tende arredate come un set cinematografico.

    E' difficile emulare – e adulare – una forma culturale, e contemporaneamente rifiutare il suo messaggio. E il messaggio di Bollywood è profondamente in contrasto con le restrizioni previste dall'estremismo islamico. Al livello più banale, le donne che indossano un abito in stile Bollywood, anche se adattato per sensibilità più castigate, di fatto resistono alle restrizioni islamiche che vorrebbero avvolgerle in un burqa come in un sudario. A un livello più profondo, i film di Bollywood offrono un compromesso tra tradizione e modernità che si accorda con i normali musulmani, mentre sovverte i programmi islamisti.

    Prendiamo i film romantici. In teoria queste pellicole costituirebbero una grave minaccia alla legge puritana della Sharia se contenessero avventure sessualmente più esplicite di quanto non preveda in realtà l'approccio piuttosto sorvegliato di Bollywood. Ma si sbaglierebbe. Sia Hollywood che Bollywood idealizzano il vero amore che tutto vince. Ma gli ostacoli che le coppie di Hollywood fronteggiano – ovvero precedenti amanti, infedeltà, fobia dell'impegno coniugale, partenze da organizzare all'indomani di un divorzio – hanno poco a che fare con le preoccupazioni di molte persone nei paesi musulmani. Questi ultimi possono interessarsi molto di più agli amanti di Bollywood, il cui principale impedimento è costituito dagli ostacoli della tradizione, dalle obiezioni familiari, dato che – per esempio – il matrimonio combinato è ancora una istituzione venerata in quella parte del mondo. Si consideri il caso di Veer-Zaara, una fortunatissima saga strappalacrime del 2004. Si tratta di una storia d'amore tra Veer, un indù ufficiale dell'aeronautica indiana, e Zaara, una giovane musulmana pakistana. (Tra l'altro, nell'ennesimo e spiazzante – per i fondamentalisti – rovesciamento dei ruoli, Veer è interpretato da un musulmano, Shah Rukh Khan, e Zaara da una indù). Veer incontra Zaara quando l'autobus che lei sta prendendo dal Pakistan per l'India si ribalta. La ragazza si era messa in viaggio per soddisfare il desiderio espresso in punto di morte dalla sua badante indiana, che le aveva chiesto di spargere le proprie ceneri nel suo villaggio natale. Veer, il cui nome significa “coraggioso”, salva Zaara dalle lamiere e la invita a trascorrere una giornata nel suo villaggio natìo, dove incontra i suoi genitori. Sia Veer che i suoi genitori sono totalmente affascinati dalla ragazza pakistana. Ma lei è già fidanzata con qualcuno che i suoi genitori hanno scelto per lei e torna quindi in Pakistan. Veer e Zaara però non sono in grado di dimenticarsi l'un l'altro. Il primo lascia il suo prestigioso posto di lavoro nell'aeronautica e va in Pakistan per ricondurla indietro con sé. La madre di Zaara lo supplica di andare via, dato che suo marito è un importantissimo uomo politico pakistano che sarebbe rovinato se mai si venisse a sapere che la figlia è innamorata di un ufficiale indiano. Veer cede, con il cuore a pezzi, alle sue suppliche. Ma il fidanzato ufficiale di Zaara è profondamente indignato e accusa comunque Veer di essere una spia straniera.

    Veer rimane quindi imprigionato in un carcere pakistano per 22 anni fino a quando un avvocato pakistano difensore dei diritti umani, il cui ruolo è interpretato da un'attrice indù-indiana, lo fa rilasciare a seguito di una lunga battaglia legale. Veer torna al suo villaggio dove incontra Zaara che, dopo la morte degli sconvolti genitori di Veer, si era lì trasferita aprendo una scuola femminile. I due sono finalmente riuniti. Veer-Zaara ritrae la tensione tra le possibilità della modernità e le esigenze della tradizione, offrendo una soluzione che accontenta entrambi. Si afferma il diritto dei giovani, uomini e donne, e non dei loro genitori o delle loro famiglie, di decidere il proprio destino romantico. Ma il film fa tutto questo senza gettare a mare completamente la religione, la tradizione, o la famiglia. Il viaggio originale di Zaara in India per portarvi le ceneri della badante esprime la sua pietà, l'amore e il profondo rispetto per i più anziani, tutte virtù apprezzate nella cultura religiosa tradizionale, sia islamica che induista. Per di più, Veer e Zaara non fanno “marameo” alla famiglia di Zaara per poi fuggire a Las Vegas; il che avrebbe delegittimato la loro causa. Perseguono un equilibrio molto più difficile: Zaara non disonora la sua famiglia e non ne respinge le richieste, ma poi si separa dal marito scegliendo di essere single. Bollywood in generale incoraggia i giovani innamorati a seguire il loro cuore, cercando di convincere le loro famiglie della giustezza della loro causa senza però voltare loro le spalle. Si cerca di realizzare l'amore romantico non al di fuori della struttura più ampia di fede e famiglia, ma all'interno di essa, allo stesso tempo riformando e confermando le più importanti istituzioni sociali, una soluzione che legittima i riformatori musulmani contro i reazionari islamici. Bollywood è allo stesso tempo sia progressista che conservatrice, una combinazione che piace ai giovani musulmani. (…)

    C'è un altro motivo chiave per il quale Bollywood piace nel mondo islamico. Fin dalle origini, alcune delle più grandi star del cinema indiano, sia uomini che donne, sono stati di fede musulmana. Attualmente in India i tre conduttori di sesso maschile con i caché più cospicui sono musulmani, tutti con il riconoscibile cognome musulmano “Khan”. Anche A.R. Rahman, il musicista compositore più rispettato di Bollywood, vincitore del premio Oscar per la colonna sonora di The Slumdog Millionaire, è un musulmano, come lo sono molti tra i migliori parolieri e sceneggiatori di Bollywood. Il successo di questi musulmani di Bollywood ha profonde implicazioni per la nascita di un islam moderato. Questi personaggi hanno innanzitutto verso la loro fede un atteggiamento diverso da quello prescritto dagli islamisti radicali. Certo, alcuni professionisti del settore sono più osservanti di altri, e i pettegolezzi sul cinema sono sempre in fermento su quale membro della troika Khan sia il più serio riguardo alla fede. (…) Ma alla fine la fede dei musulmani di Bollywood è una elevazione spirituale personale, non una subordinazione al medievalismo di stile talebano. Rahman, il compositore, è un sufi devoto che prega cinque volte al giorno non perché stia cercando di diffondere le rigide regole dell'islam, ma perché, come scrive il Times of India, lo aiuta a “rilasciare la sua tensione e gli dà un senso di controllo”.

    La migliore musica sufi contemporanea, probabilmente non proviene dal Medio Oriente, ma dal subcontinente indiano, grazie in gran parte ai musulmani di Bollywood. Attraverso la fama di questi artisti e del loro lavoro, l'industria cinematografica indiana dimostra ai musulmani di tutto il mondo che adattarsi alla modernità non richiede loro di abbandonare la fede e le tradizioni. In effetti, può essere un mezzo per preservarle e promuoverle. Naturalmente niente di tutto questo soddisfa gli islamisti integralisti. Ma il loro feroce sarcasmo sull'empietà di Salman o sull'indecenza di Sheila, o su molte delle altre trasgressioni di Bollywood, ha poca risonanza tra i musulmani dell'industria del cinema. Shah Rukh, che ha un miliardo di fan in tutto il mondo, ha condotto infatti una sorta di crociata personale per controbattere ai chierici che mettono in dubbio la sua fede o cercano di imporgli la loro versione rigida dell'islam. “La Jihad, che significa ‘lotta interiore', doveva essere propagata dal Profeta stesso”, ha detto l'attore ai microfoni di Cnn-India: “Ora esistono due versioni dell'islam. C'è un islam che viene da Allah e, molto sfortunatamente, c'è un Islam che viene dai mullah”. (…) Così, anche se la resistenza del Pakistan ai droni e ai raid americani è cresciuta, la sua resistenza al soft power di Bollywood si è sbriciolata. Gli estremisti che riscuotono simpatia nel pubblico quando dirigono il fuoco e l'inferno verso il Grande Satana, sono impotenti nell'impedire ai pachistani di consumare le blasfemie di Bollywood.

     

    di Shikha Dalmia

    La versione originale dell'articolo è apparsa sul numero di agosto-settembre della rivista statunitense Reason Magazine. Traduzione dall'inglese di Marco Valerio Lo Prete.