Dal Foglio del lunedì

Lusi e quei tredici milioni, un colpo facile facile

Redazione

La commissione dei garanti del Pd ha deciso, all'unanimità, di espellere il senatore Luigi Lusi dal partito. Lo ha riferito il presidente della Commissione, Luigi Berlinguer, durante una pausa dei lavori: "Si è deciso quindi di procedere con la sanzione più grave prevista dall'ordinamento, ovvero la cancellazione dall'albo degli elettori e dall'anagrafe degli iscritti".

Leggi Lusi e la riforma dei partiti di Giuliano Ferrara

    La commissione dei garanti del Pd ha deciso, all'unanimità, di espellere il senatore Luigi Lusi dal partito. Lo ha riferito il presidente della Commissione, Luigi Berlinguer, durante una pausa dei lavori: "Si è deciso quindi di procedere con la sanzione più grave prevista dall'ordinamento, ovvero la cancellazione dall'albo degli elettori e dall'anagrafe degli iscritti".

    "Lusi? E' un ladro, deve pagare" (il senatore Gianni Vernetti, ex dirigente della Margherita). [1] Luigi Lusi, senatore del Pd classe 1961, ha ammesso di aver sottratto per interessi “privatissimi” (tra cui l’acquisto di una villa e un super-appartamento) poco meno di 13 milioni di euro dal conto del partito di cui era tesoriere (la Margherita). Pronto a restituire 5 milioni (altrettanti sono stati pagati a titolo di tasse, sugli altri 3 la Margherita potrebbe anche “transare”), ha cercato di patteggiare una condanna ad un anno, i magistrati hanno respinto l’offerta. [2]

    Francesco Rutelli, ex segretario della Margherita che aveva l’altra delega sui conti del partito, ripete da giorni che «non poteva sapere» perché «non è un ragioniere». [3] «Mi hanno portato un foglietto e l’ho firmato per aprire il conto e poi per undici anni non ho mai fatto un assegno o un bonifico». Claudio Tito: «Ma proprio in quanto “cointestatario” non poteva certo essere esentato dal controllo. Lo scorso giugno, poi, l’assemblea del partito ha certificato quelle spese e nessuno ha mosso un dito». [4]

    In un’assemblea federale che dormiva da piedi, chi teneva un occhio aperto (Arturo Parisi, Pierluigi Castagnetti) veniva ricondotto a più miti consigli. Carlo Bonini: «Eppure, non ci vuole un “ragioniere” per accorgersi che nel triennio 2008-2010 almeno quattro significative voci di spesa del partito che non c’è più si muovono come sulle montagne russe e in modo assolutamente incongruo. Il costo del “sito internet”, tanto per dire, passa dagli 86 mila euro del 2009, ai 533 mila del 2010. Ma quel che è incredibile è che – sempre nel 2010 – la dissolta Margherita spende in “consulenze” 1 milione e 600 mila euro». [3]

    Il caso Lusi è un clamoroso episodio di disonestà personale o l’ex tesoriere si sta sacrificando per il partito? [5] Citato a paragone Primo Greganti, i reduci della Margherita fanno un po’ di confusione dicendo «che no, quella era un’altra storia» perché Lusi «ha ammesso di aver preso quei soldi per sé». [6] Mattia Feltri: «Primo Greganti se lo ricordano tutti, sebbene egli non sia mai stato il contabile ufficiale del Pci-Pds. Lo accusarono di aver intascato una mazzetta da 621 milioni di lire (nel 1989), e lui disse di aver usato il buon nome del comunismo italiano per guadagnarsi la sommetta; cioè, non aveva rubato per il partito ma al partito. Chiuso in galera, tenne il punto» (anche in quel caso c’era di mezzo una casa). [7]

    Elucubrazioni: «Se dobbiamo giudicare il caso Lusi con l’occhialino della storia, dobbiamo supporre che non abbia agito, non possa aver agito da solo e per sé» (Giorgio Dell’Arti). [8] Marco Travaglio: «Il vero scandalo non è quel che ha fatto Lusi, ma il sistema che l’ha reso possibile. Lo scandalo sono i partiti morti che restano in vita solo per incassare i rimborsi elettorali, che seguitano ad affluire anche se i partiti non esistono più e dunque non corrono alle elezioni. Lo scandalo sono i rimborsi assegnati per cinque anni anche se la legislatura ne dura due. Lo scandalo sono i “rimborsi” stessi: finanziamenti pubblici mascherati». [9]

    Il dibattito sui soldi pubblici ai partiti ebbe una prima svolta nel 1974. Piero Ignazi & Eugenio Pizzimenti: «Era scoppiato un ennesimo scandalo, quello dell’Unione Petrolieri. Tutti i partiti concordi decisero che era necessario introdurre forme di finanziamento pubblico». [10] Fabrizio D’Esposito: «Il risultato è noto: vent’anni più tardi il pentapartito dominato dalla Dc e dal Psi esplose a causa di Tangentopoli. Insomma, l’arricchimento “pubblico” dei partiti (a spese dei cittadini) è direttamente proporzionale a quello illecito. Un appetito insaziabile. Lo dimostra quello che è successo dopo il 1993. Il referendum abroga il finanziamento ma i partiti lo aggirano con il meccanismo dei rimborsi elettorali. Ancora più redditizio». [11]

    Da quando nel 1994 fu introdotto il “rimborso elettorale” le quote versate dallo Stato ammontano a 2.217.126.664 euro. [10] Paolo Baroni: «Nell’aprile 1993 il governo Amato reintroduce un “contributo per le spese elettorali” pari a 1.600 lire per ogni italiano che risultava al censimento, anche quelli che non avevano diritto al voto. Le politiche dell’anno seguente, il 1994, portano così nelle casse dei partiti 46,9 milioni di euro di oggi, altri 23,4 arrivano con le europee che seguono di lì a poche settimane. Prodi nel 1997 introduce il 4 per mille a favore dei partiti con uno stanziamento di 56,8 milioni l’anno. Ma una norma transitoria valida solo per il primo anno alza lo stanziamento a 82,6 milioni di euro nonostante le scarsissime adesioni dei contribuenti». [12]

    Col governo D’Alema, nel 1999, vennero istituiti 5 fondi per il rimborso delle spese elettorali (Camera, Senato, Parlamento europeo, consigli regionali, referendum), la quota “procapite” salì da 1600 a 4000 lire. Baroni: «Però, almeno, la base di calcolo viene un poco ridotta: non si tiene più conto dell’intera popolazione nazionale ma solo degli iscritti alle liste elettorali della Camera. In caso di legislatura piena ogni anno vengono così erogati ai partiti 193,7 milioni di euro. Ma è anche previsto che in caso di interruzione anticipata della legislatura il fiume di denaro venga sospeso». [12]

    Nel 2002 il governo Berlusconi cambiò l’importo del rimborso per elettore: da 4 mila lire a 5 euro. Baroni: «Anche peggio, insomma, di quel cambio 1 a 1 tante volte contestato a ristoranti e bar in quei tempi. L’ammontare da erogare in caso di legislatura completa in questo modo aumenta più del doppio, si passa infatti da 193,7 milioni di euro a 468,8. L’ultimo “colpo” arriva nel 2006, ancora governo Berlusconi: la legge 5122 stabilisce infatti che l’erogazione sia dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura indipendentemente dalla sua durata effettiva». [12]

    Le elezioni anticipate del 2008 sono state un grande affare per i partiti. Flavia Amabile: «In base alle cifre presenti in Gazzetta Ufficiale, circa 600 milioni di euro sono stati versati in cinque anni, dal 2008, ai due maggiori partiti, Pdl e Pd. Ma nel 2010 (anno di elezioni regionali e dell’ultimo bilancio depositato) il Pdl ha speso 20 milioni circa per la campagna elettorale. Gliene verranno rimborsate cinque rate annuali da 10,6 milioni, per un totale di 53 milioni di euro, due volte e mezzo la spesa sostenuta. Il Pd invece ha speso 14 milioni di euro, ma ne riceverà in cambio 51 dallo Stato, più del triplo». [13]

    A giudicare su eventuali irregolarità è il Parlamento. Travaglio: «I partiti, anche se ricevono soldi pubblici (e parecchi: 1 miliardo a legislatura), restano soggetti privati. È dal 1948 che si attende una legge sulla loro responsabilità giuridica (il primo a proporla fu don Sturzo), che li obblighi a rispondere della gestione patrimonial-finanziaria e del rispetto delle regole di democrazia interna (tesseramenti, congressi, candidature, gruppi dirigenti, organi di garanzia), con sanzioni efficaci». [9] Sergio Rizzo & Gian Antonio Stella: «L’allarme sulla gestione dei soldi statali da parte delle forze politiche ha radici lontane. Nel 1982 Marcello Crivellini la bollava come “paragonabile ad un misto di cosche mafiose e servizi segreti”». [14]

    La legge 2/1997 introdusse l’obbligo per i partiti di redigere un bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto economico. Amabile: «Esistono dei revisori nominati dai presidenti di Camera e Senato per controllare i bilanci del partito. Nel libro Partiti S.p.a. l’autore Paolo Bracalini chiede a uno di loro se sia possibile verificare che i milioni versati a un movimento politico siano stati effettivamente spesi come il partito dichiara. La risposta è un semplice “No”». [13] Uno dei cinque revisori: «Non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un’assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona». [11]

    All’inizio di ottobre il Greco (Gruppo di Stati contro la corruzione) del Consiglio d’Europa ha registrato che il sistema italiano di finanziamento pubblico ai partiti non è affatto adeguato ai fini della trasparenza e della lotta alla corruzione. Nino Amadore & Mariolina Sesto: «Dal 20 al 23 marzo è convocata la 54esima assemblea plenaria del Greco in cui si discuterà delle linee guida in tema di trasparenza e finanziamento ai partiti politici. Una prima riunione a Strasburgo è comunque prevista a metà febbraio: si parlerà della trasparenza e del sistema di Party funding (il finanziamento ai partiti) italiano che non è ritenuto all’altezza del compito ed è stato indicato come esempio negativo». [15]

    In Germania i contributi non possono andare oltre il tetto dei 133 milioni di euro annui. [16] Da noi nel 2010 i rimborsi sono arrivati a 289,8 milioni. Finita la sovrapposizione con la precedente legislatura ed in seguito ad una serie di interventi che mirano a calmierare questa voce di spesa, è partita la discesa: 189,2 milioni nel 2011 e nel 2012, 165,1 nel 2013, 153,7 nel 2014 e 143,3 nel 2015. [12]

    In Germania i bilanci devono avere un triplice timbro, non formale: presidenti dei partiti, vertice del Bundestag, Corte federale dei conti. [16] Mauro Agostini, primo tesoriere del Pd, sta preparando una proposta di legge per rendere obbligatoria la certificazione dei bilanci dei partiti da parte di società di revisione indipendenti.  [14]

    Leggi Lusi e la riforma dei partiti di Giuliano Ferrara

    Note: [1] Paolo Griseri, la Repubblica 3/2; [2] Carlo Bonini, Repubblica 31/1; Gad Lerner, la Repubblica 1/2; Carlo Bonini, Repubblica 1/2; Claudio Tito, la Repubblica 2/2; Alberto Custodero, la Repubblica 4/2; Maria Elena Vincenzi, Repubblica 4/2; Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4/2; [3] Carlo Bonini, la Repubblica 4/2; [4] Claudio Tito, la Repubblica
    2/2; [5] Gad Lerner, la Repubblica 1/2; [6] Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica 1/2; [7] Mattia Feltri, La Stampa 1/2; [8] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4/2; [9] Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 2/2; [10] Piero Ignazi & Eugenio Pizzimenti, L’espresso 9/2; [11] Fabrizio D’Esposito, il Fatto Quotidiano 1/2; [12] Paolo Baroni, La Stampa 2/2; [13] Flavia Amabile, La Stampa 1/2; [14] Sergio Rizzo Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 3/2; [15] Nino Amadore, Mariolina Sesto, Il Sole 24 Ore 3/2; [16] Fabrizio D’Esposito, il Fatto Quotidiano 2/2.